Libro/Film TRE PIANI – Eshkol Nevo – Nanni Moretti
Libro TRE PIANI, di Eshkol Nevo
Nei pressi di Tel Aviv, in una palazzina di tre piani, vivono diverse famiglie. Eshkol Nevo scrive tre storie, tre monologhi, aventi per protagonista un membro di una famiglia, rispettivamente, del primo, secondo e terzo piano. Il protagonista di ogni monologo avverte la necessità di raccontare la sua storia ad una persona cara: un amico, un’amica, un marito scomparso. Al primo piano, un padre di famiglia teme che la propria bambina sia stata vittima di abusi sessuali da parte del vicino di casa. Al secondo piano, una madre di due bambini, il cui marito è spesso via per lavoro, si sente costretta ad ospitare e nascondere suo cognato, latitante e fratello di suo marito, con cui suo marito non ha più contatti. Al terzo piano, una giudice ormai in pensione, vedova, per un’assurda coincidenza, si troverà a riallacciare un importante rapporto troncato.
I tre piani non si riferiscono solo agli effettivi tre piani della palazzina, ma si allude chiaramente alle tre istanze psichiche di freudiana memoria: al primo piano abita l’Es, le pulsioni, al secondo l’Io, che media tra i desideri e la realtà e al terzo il super io, che ci richiama all’ordine. Molto interessante la corrispondenza tra ciascuna delle tre istanze e i monologhi narrati con i personaggi protagonisti. Una scrittura che ispira circospezione, di grande portata simbolica, e che mi ha ricordato il connazionale di Nevo, Grossman (soprattutto “col corpo capisco”), delle storie che parlano di rapporti famigliari e delle loro delicate dinamiche, di amore, timore, paura, tradimenti, alienazione (interessanti le riflessioni sull’isolamento e l’alienazione che le donne possono trovarsi a vivere a seguito dalla maternità).
Molto bello. Ora mi resta solo da vedere il film di Nanni Moretti.
Recensione di Nadia Carella
Film TRE PIANI (ITALIA, 2020) regia: NANNI MORETTI
sceneggiatura: NANNI MORETTI, FEDERICA PONTREMOLI, VALIA SANTELLA
cast: NANNI MORETTI, MARGHERITA BUY, RICCARDO SCAMARCIO, ELENA LIETTI, ALBA ROHRWACHER, ADRIANO GIANNINI, ALESSANDRO SPERDUTI, DENISE TANTUCCI, ANNA BONAIUTO, PAOLO GRAZIOSI
durata: 119 minuti
giudizio: ★★☆☆☆
Scena prima, esterno notte. Una ragazza incinta cerca disperatamente di fermare una macchina per andare in ospedale a partorire. Ma l’autista, ubriaco, non solo non la vede ma investe un’altra donna, uccidendola, e ferma la propria folle corsa sventrando il soggiorno di un appartamento a pianterreno. L’incidente scatenerà una serie di eventi che cambierà per sempre la vita di tre famiglie borghesi che abitano i Tre piani del palazzo in cui vivono. Metaforicamente, però, questo è anche il modo in cui Nanni Moretti si comporta con i personaggi del suo ultimo film, ovvero irrompendo come un elefante in una cristalleria. Davvero insolito per uno come lui, da sempre storicamente attentissimo agli equilibri (umani e cinematografici).
Tre piani è infatti un’opera incredibilmente squilibrata, in cui l’irriconoscibile regista romano si spoglia dei panni di attento osservatore della fauna umana, fin dagli esordi (da Ecce Bombo a Bianca, a La messa è finita) per trasformarsi in un anacronistico fustigatore della società borghese: il problema è che lo fa, appunto, con la grazia di un bulldozer e senza un minimo di analisi. Le tre storie che si intersecano nel film raccontano difficili relazioni coniugali e scontri generazionali tra genitori e figli, niente di nuovo per Moretti, ma quello che sorprende sono i giudizi tranchant che vengono attribuiti ai personaggi, tutti buoni (pochi) o cattivi (tanti), senza possibilità di appello, bianchi o neri, senza quelle sfumature che contraddstinguono ogni persona di questa terra. Ne esce fuori un film sgradevole, brutale, catartico ma mai empatico verso lo spettatore. Ci si accorge subito che stiamo assistendo a una rappresentazione posticcia, lontanissima dalla realtà.
Per quanto mi riguarda (so bene che in molti non la pensano così) l’ultimo Moretti contiene gli stessi difetti dei film dei gemelli D’Innocenzo, che da anni cercano (inutilmente) di approcciarsi al cinema di Haneke senza andarci neppure vicino, confondendo la scomodità per sgradevolezza, la severità per morbosità, l’ambiguità per ipocrisia. Dispiace però che anche Moretti sia caduto in questa mediocrità: esemplare in tal senso è il personaggio di Lucio (interpretato da Riccardo Scamarcio): un padre osessionato dall’idea che la figlioletta abbia subito violenza da parte di un vecchio, e che invece non impiega che pochi secondi per abusare di una minorenne sbarazzina che se lo sogna fin di piccola… un contrasto rozzo, assolutamente non credibile, che non solo non “disturba” affatto chi guarda ma lo fa pure incazzare per come un tema del genere sia trattato con così grossolana sciatteria.
E poi c’è la questione attoriale. La recitazione. Anche lo spettatore totalmente digiuno di cinema si accorge subito che tutti gli attori (tutti, nessuno escluso, nemmeno Moretti stesso, mai così a disagio davanti alla cinepresa) recitano in modo meccanico, innaturale, forzato, come se fossero degli automi costretti a interpretare un ruolo che non sentono loro. Sono tutti attori che da anni interpretano sempre lo stesso personaggio, e in questo film lo replicano nel modo peggiore: Margherita Buy sarà anche “la Meryl Streep italiana” come l’ha definita il regista, ma è dai tempi di Verdone (anni ’90) che recita la parte della nevrotica svampita e insoddisfatta. Solito discorso per Alba Rohrwacher, che non esce dal clichè della povera matta disturbata (qui a livelli di ridicolo involontario) mentre su Scamarcio e Adriano Giannini è meglio stendere un velo pietoso. L’unico a salvarsi è Alessandro Sperduti (i cinefili lo ricorderanno come “il tenentino” di Torneranno i Prati, di Ermanno Olmi), l’unico che dimostra un minimo di umanità, peccato che il suo impegno sia vanificato da una sceneggiatura che banalizza irrimediabilmente il suo personaggio.
Viene il sospetto che Moretti non sia riuscito a “sentire” del tutto suo il romanzo omonimo di Eshkol Nevo, che non ho letto e da cui è tratto il film (il primo soggetto non originale per Nanni Moretti) e che probabilmente i tre sceneggiatori (Federica Pontremoli e Valia Santella, oltre allo stesso regista) abbiano trovato difficoltà nell’attualizzare un romanzo isrealiano alla realtà italiana, in cui le varie sensibilità sono finite evidentemente lost in translation, fattostà che fa (brutta) impressione vedere un film di Moretti così spento, arido, più anonimo che ineluttabile, in cui tutto sa di vecchio, già visto, tanto da farlo dimenticare davvero troppo in fretta, oppure essere ricordato come il primo, vero passo falso nella nobile carriera del Nanni nazionale.
Recensione di S O L A R I S : il Blog per gli amanti del cinema
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