Libro/Film PINOCCHIO – Carlo Collodi – Matteo Garrone

Libro Film Pinocchio

Libro/Film a confronto

Libro – PINOCCHIO, di Carlo Collodi

“c’era una volta un pezzo di legno..”

Pinocchio Collodi recensioni Libri e News UnlibroGeppetto, un falegname poverissimo, aveva fatto di un pezzo di legno un burattino. Solo più tardi si rende conto che questo burattino, Pinocchio, parlava e camminava.

Geppetto lo trattava come se fosse sui figlio. Pinocchio però era disubbidiente, non voleva andare a scuola e scappa di casa tante volte. Ogni volta incontra qualcuno che cerca di portarlo sulla cattiva strada, prima il gatto e la volpe che lo derubano, poi Lucignolo che lo porta con sé al paese dei balocchi. Pinocchio non ascoltava i consigli di nessuno. Ne del suo babbo, né della dolce fata turchina che lo perdonava sempre, né del grillo parlante. Geppetto rischierà di morire per andarlo a cercare.

Pinocchio sembra non voler imparare le lezioni che tutti cercano di dargli.
Riuscirà a salvare la vita del suo babbo e a diventare un bravo bambino.. solo in quel momento il sogno che aveva da sempre si avvererà.

Voto 9: Pinocchio ci dimostra che ogni giorno incontriamo persone sbagliate, che vogliono farci prendere una cattiva strada.

Per fortuna pero, ci sono quelle persone che ci amano e che a noi tengono. E che riescono con amore a salvarci, anche se all’inizio devono scontrarsi con la nostra testardaggine. Anche se all’inizio lì trattiamo anche male, sottovalutando il loro monito.

Grazie a queste belle persone e a Carlo Collodi che ci ricorda che esistono.

Recensione di Graziana Ingrosso

 

Film – PINOCCHIO, di Matteo Garrone

titolo originale: PINOCCHIO (ITALIA, 2019)
regia: MATTEO GARRONE
sceneggiatura: MATTEO GARRONE, MASSIMO CECCHERINI
cast: FEDERICO IELAPI, ROBERTO BENIGNI, MASSIMO CECCHERINI, ROCCO PAPALEO, GIGI PROIETTI, MARINE VACTH, DAVIDE MAROTTA
durata: 125 minuti
giudizio: ★★★★☆

Geppetto, falegname scapolo e povero in canna, costruisce un burattino di legno per rivenderlo e ricavarne qualche soldo per mangiare. Incredibilmente, però, appena finito di scolpirlo, il burattino si anima e prende vita. Geppetto, stupito ma felice, decide di tenerlo e di trattarlo come un figlio, dandogli il nome di Pinocchio. Ma la creatura si dimostrerà tutt’altro che ubbidiente e rispettosa verso il padre, dal quale fuggirà ben presto per raggiungere l’agognato Paese dei Balocchi. Geppetto, disperato, lo cercherà ovunque, fino in capo al mondo…

Secondo stime non ufficiali (perchè, essendo decaduti da decenni i diritti d’autore, è impossibile risalire al numero di copie stampate) Pinocchio sarebbe il terzo libro più letto al mondo dopo La Bibbia e il Corano. Un motivo più che valido per cui Matteo Garrone, intelligentemente, ha deciso di girare un film assai fedele al testo letterario, quasi filologico: che bisogno c’era, infatti, di cambiare una storia che da oltre un secolo appassiona e cattura milioni di persone a tutte le latitudini? Per questo il Pinocchio di Garrone, lo dico subito, è in assoluto la miglior versione cinematografica del celebre libro di Collodi : un bravo regista (e Garrone lo è, da sempre) sa affermare il suo stile in ogni modo possibile, e il suo Pinocchio, seppur pedissequo nella narrazione, è un film “garroniano” al 100% per atmosfere e particolarità.

Sarà pure banale scriverlo, ma questo Pinocchio riesce finalmente dove tutti gli altri finora avevano fallito: sa emozionare e commuovere, divertire e spaventare, sa farci sorridere, piangere e riflettere, proprio come la versione su carta. Pinocchio non è affatto un testo di semplice lettura, a dispetto delle apparenze: non a caso fin dalla sua uscita, datata 1881, fu tutt’altro che ben accolto dalla critica conservatrice e benpensante dell’epoca. Il protagonista è un burattino dal cuore d’oro ma insofferente alle regole, che aspira alla bella vita senza lavorare, che vuole soldi facili senza assumersi responsabilità… e non è forse uno specchio perfetto dei nostri tempi? Garrone lascia scorrere fluido il racconto (forse anche troppo, per stare nelle due ore di durata) ma lo impreziosisce di suggestioni oniriche e atmosfere “dark”, in certi punti quasi venate di horror, in piena coerenza col suo cinema (la scena dell’impiccagione, così come quella della trasformazione in asinello, i caratteri mefistofelici di Mangiafoco Il Gatto e la Volpe, sono assolutamente inquietanti), firmando un’opera affascinante ed elegantissima, in cui lo stile è parte integrante del racconto.

Uno stile che è di impressionante bellezza visiva: tutto, dai colori alla fotografia, dalle luci ai costumi, agli effetti speciali per nulla invasivi (dove, saggiamente, si è voluto privilegiare il trucco manuale rispetto alla computer-graphics, utilizzata solo in pochissime scene) serve a trasportarci in un’epoca arcaica ma indefinita, proprio come in ogni favola che si rispetti. E qui Garrone, che già aveva dato prova della sua abilità nell’imperfetto ma fascinoso Il Racconto dei Racconti, riesce benissimo a pennellare un’Italia affamata e violenta, poverissima e rabbiosa, quasi tribale, che difficilmente vediamo mai rappresentata nel cinema di oggi. Garrone invece non indugia nel mostrarci la povertà, l’indigenza, simbolicamente rappresentate dal personaggio di Geppetto, falegname senza un soldo ma pieno di dignità che prova a barcamenarsi in mille stratagemmi per mettere qualcosa dentro lo stomaco: è lo specchio della precarietà, di come la miseria può portare alla diffidenza, alla barbarie, all’ignoranza (quanti, come Geppetto, anche oggi non hanno i mezzi per far studiare i propri figli?)

Roberto Benigni, per l’occasione, si ricorda di essere un attore e dà il meglio di sè in un ruolo molto più adatto a lui: il suo è un Geppetto umano e dolente, povero ma orgoglioso della propria arte e della propria onestà, in un’interpretazione ben più calzante e indovinata rispetto a quella di Pinocchio stesso nel suo vecchio film del 2002 (uno dei flop più clamorosi del cinema italiano). Un Benigni ben “manovrato” e tenuto a bada dal regista, che rivendica ma non eccede nella sua toscanità, necessaria ma non strabordante, come quella del giovane protagonista Federico Ielapi (ammirevole per la sua verde età e per la pazienza dimostrata nel sottoporsi a ore di trucco…). Del resto Garrone voleva una storia che fosse il più universale possibile: da qui la scelta di utilizzare anche attori non toscani come Gigi Proietti, Rocco Papaleo, Davide Marotta, Marine Vacht. Toscano è anche Massimo Ceccherini, finalmente “smarcatosi” dagli stereotipi pieraccioniani e qui degno di assoluto rispetto nel doppio ruolo di attore e sceneggiatore (è stato lo stesso regista a volerlo espressamente come collaboratore ai testi, in virtù di una stima nata fin dal set de Il Racconto dei Racconti).

Il Pinocchio di Garrone è un film commerciale a tutti gli effetti, ma con un tocco d’autore. E’ stato programmato durante le feste natalizie per venire incontro al grande pubblico, in particolar modo ai bambini, ma è evidente che la morale è scritta per gli adulti: il burattino che al termine delle sue avventurose peripezie si redime e diventa umano è giocoforza un monito alla società di oggi: un mondo dove tutti aspirano alla fama e ai soldi facili senza sforzo, dove la cultura pare superflua e l’effimero dominante. Tendiamo a fidarci dei vari Lucignolo Il Gatto e la Volpe, imbroglioni che si approfittano della colpevole ignoranza delle persone… eppure la soluzione è lì, a portata di mano, senza nemmeno scomodare grilli parlanti e fate turchine: si chiama studio, volontà, sacrificio, voglia di lavorare onestamente, di affermarsi grazie alle proprie capacità. Ai tempi di Collodi pareva scontato. Oggi, in tempi (bui) di volgarità e fascioleghismo imperanti, una tesi del genere appare rivoluzionaria, quasi “sovversiva”…

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