LA CURA Hermann Hesse

LA CURA, di Hermann Hesse

Quando finisco di leggere libri scritti da grandi scrittori, menti strepitose per l’umiltà dei pensieri e parole, creature elevate nell’anima e nello spirito, mi sento bene.

Provo una sensazione di appagamento, una serena consapevolezza che non tutta l’umanità merita “l’estinzione”: parolina che va di moda, oggi.

 

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Troppo facile parlare di  “estinzione”, soprattutto attraverso i social, mi sembra una soluzione irrispettosa nei confronti della vita – “perché la vita non è un conto, una figura matematica, ma un prodigio”- . Che brutta cosa augurare l’ estinzione dell’umanità, seppure corrotta e infelice, mi sembra una semplice via di fuga onde evitare il dialogo costruttivo, la comunicazione propositiva e incendiare invece animi non evoluti, ancora allo stato primitivo.

Premesso ciò leggere “La Cura” di Hermann Hesse è  leggere l’uomo Hermann Hesse. Ed è quanto dire.

È entrare dentro il suo pensiero, sfiorare la sua anima, torcersi delle sue inquietudini nel continuo risolvere le antinomie fra anima e corpo, brutto e cattivo, luce e buio, piccolo e grande, amore e odio , un continuo fluttuare fra poli opposti.

Nel “La Cura” , appunti di un semplice soggiorno termale per curare gli acciacchi fisici, c’è  tutto l’Hermann Hesse presentato nei suoi romanzi più famosi; c’è il suo occhio cosmico proiettato verso la convergenza delle rette parallele del singolo, dell’umanità e dell’universo.
I tentativi di piegare l’uno verso l’altro i due poli dell’esistenza, di scrivere  la melodia a due voci della vita.

In questo delizioso libricino di appunti, annotazioni ed esperienze, sia pure quelle stranezze contorte  dello psicopatico, l’uomo Hesse si confida con tutta onestà e schiettezza  con se stesso utilizzando un registro narrativo basato principalmente sull’ironia. Un’ ironia sorprendente poiché non c’è mai stata nei suoi più famosi romanzi, anzi. Tuttavia bisogna considerare che qui, nel “La Cura”, il protagonista è lo scrittore stesso e di solito, quando  intelligentemente si parla di se stessi, l’utilizzo dell’ironia, abile  gioco tra il serio e faceto, diventa un’arma efficace per sdrammatizzare il ridicolo del quotidiano, i segni del tempo, il logorio del corpo e dello spirito.

Negli appunti leggiamo l’uomo Hesse che si sdoppia e si vede dall’alto con le sue debolezze, le sue meschinità,  i suoi limiti borghesi, convenzionali e tremendamente umani. E a tratti sorridiamo divertiti del suo osservare e del suo narrare.

Tuttavia siamo anche partecipi dei suoi vari tentativi dall’alto del suo spirito, dominato dalla genuinità della natura, puerile giovinetta indenne al tempo e allo spazio,  di ricongiungersi alla materia, fragile sarcofago in prestito, e di sconfiggere i brutali, incontrollabili sentimenti primitivi che lo travolgono inaspettatamente.

Congiunta l’anima al corpo, congiunto lo spirito alla materia, amiamo il suo nemico che non è altro che il riflesso di se stesso e di noi stessi, – ne “La Cura” indossa le vesti dell’Olandese  ironicamente definito  “Volante”- ;  schiacciamo il demone dell’intolleranza, dell’indicibile mediocrità dei vizi, della compassione maligna verso il prossimo, e ci specchiamo nel  famoso Occhio Cosmico che tutto unisce in nome dell’amore.

È un lavoro, quello di Hermann,  introspettivo, duro, difficile, sudato, conflittuale nelle notti insonni, nell’oscurità amata e temuta, nel solitario ritiro di una stanza di albergo da cui si espande la sofferenza oltre le nuvole, il cielo, l’universo, fino a raggiungere, dopo un percorso sofferto, quel Dio, unità liberatoria e appagante.

“L’unità  che io venero dietro la molteplicità non è un’unità  noiosa, grigia, concettuale, teorica. È la vita stessa, piena di giuoco, di dolore e di risa. È la rappresentazione nel Dio Siva che danza il mondo in frantumi e in molte altre immagini…l’uno e il molteplice, ti vedi passare accanto Buddha e Gesù,  parli con Mosè,  senti sulla tua pelle il sole Ceylon e vedi i poli irrigiditi nel ghiaccio”

Ritengo che le opere di Hesse, compresa La Cura, debbano essere lette con la contezza di elevarsi dalle barbarie civili soprattutto oggi che siamo facili a commentare il nostro fastidio del diverso, l’intolleranza dell’opposto, il disappunto di una divergente prospettiva adoperando, ahimè, lo stesso linguaggio del nemico: zone piatte, vuoti di crescita, cicli isterici.

Ricordiamoci, come ce lo ricorda il grande scrittore/filosofo/poeta/pittore Hermann, che dall’antitesi in eterno movimento, dalla duplicità del mondo, dagli dicotomia degli opposti è formato ogni essere dal più piccolo al più grande, dal granello di sabbia sino alla polvere del Cosmo,  e il loro punto di incontro, costruttiva dialettica di maturità umana, è l’amore.

L’amore universale che non è  accettazione passiva, ma coscienza persuasiva e costruttiva dell’altro poiché l’io e l’Es sono parte della moltitudine che converge nel Grande Uno.

Hesse segue le orme di un Messia  universale che ha saputo suonare note acute e gravi in un perfetto equilibrio creando una superba melodia, letizia per la mente e lo spirito.

Hesse ha attraversato con discreta saggezza la corda degli estremi superando la dimensione spazio – temporale,  raggiungendo l’immoralità nelle sue opere.

“Ama il prossimo come te stesso”,  perché sei tu stesso; ama, né un punto in più per evitare fanatismi egoistici, né un punto in meno onde evitare di cadere nel limbo del servilismo e della autocommiserazione.

” Oh, l’intera saggezza è cosi semplice, ed è  stata enunciata e formulata da tanto mai tempo e con cosi indubitabile  precisione! Perché  dunque  ci appartiene solo a momenti, nelle giornate buone, e non sempre?”

Proviamoci ad amare in nome della bellezza e dell’arte, le forme più sublimi dell’umanità intera, utilizziamo queste armi per sconfiggere la mediocrità degli scontri,  l’inutilità esecrabile delle quisquilie.

Buona lettura.

Recensione di Patrizia Zara
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