Libro Film a confronto
Libro MARTIN EDEN, di Jack London
”Martin Eden” di Jack London. Mi ha impiegato parecchio tempo, ma l’ho finalmente finito e posso dirne le mie impressioni anche a confronto con il film.
Si tratta di un poderoso romanzo di formazione di un marinaio, bello e forte nel corpo e alla ricerca di riscatto sociale. La storia inizia con l’incontro di Martin con la bella e ricca signorina Ruth, che lo colpisce a tal punto da decidere di sconvolgere l’intera sua esistenza per diventare un uomo degno di lei.
In realtà sospettiamo presto che lui la idealizzi e la trasfiguri come una novella Beatrice, ma certo la forza del suo amore per lei lo spinge in un’immersione culturale senza precedenti al fine del perfezionamento culturale e spirituale. Non potendo tornare a scuola, si dedica ad ore ed ore di lettura, tanto avido da ridurre il sonno a poche ore. Chiaramente si invidia la sua determinazione e si ammira il modo in cui in pochissimi anni riesce a diventare colto non solo nella grammatica ma anche in filosofia e in altre scienze.
Tuttavia si capisce presto che cultura e istruzione non sono finalizzati al miglioramento personale ma che lui spera banalmente di fare i soldi con la sua nuova cultura, così da poter sperare di sposarla. Qui si scontra con la ragazza, che, attratta fortemente dalla sua possanza fisica, vuole che lui lavori duro per farsi una posizione e poterla sposare, senza perdere tempo a scrivere, come altri “self-made-man” che conosce, che hanno iniziato da fattorini e sono diventati soci di studio.
Ruth e i suoi genitori infatti considerano gli uomini solo per il successo che hanno, che costituisce il tema portante del libro.
Il successo, in origine inteso in chiave religiosa, perché per i protestanti calvinisti incarna la dimostrazione della grazia di Dio, permette nel mondo californiano di fine Ottocento di Eden di superare ogni barriera sociale, culturale e di classe e di aprirsi le strade verso i salotti buoni e le unioni irrealizzabili come quella tra Martin e Ruth. Non si fanno i soldi, scrivendo libri, perché con la cultura non si mangia, e per questo Martin, che persiste nella sua idea di diventare scrittore, rifiutando gli schemi classici del self-made-man, è bollato come fannullone e malvisto dai genitori di Ruth( non a caso Ruth, che non è destinata a farsi una posizione, è laureata in lettere).
Nel libro si spiega bene la trasformazione culturale di Martin, mentre il film è viziato da troppi salti temporali.
Martin passa da un ingenuo collegamento tra ricchezza e cultura, per cui tutti gli ospiti del salotto buono dei genitori di Ruth sono reputati da lui cervelloni, ad una progressiva presa di coscienza sulla pochezza intellettuale di queste persone e sul proprio valore, fino ad abbracciare Nietzsche e la teoria del superuomo e disprezzare il mondo borghese come il socialismo ma non ancora il valore borghese del successo fino alla prevedibile delusione d’amore.
Il film sceglie a torto di tralasciare tutta la storia successiva alla delusione per presentarcelo come scrittore di successo gracchiante e arrogante con sfumature di Trilussa, ma non è assolutamente questa la rappresentazione giusta e infatti il film tradisce in modo eccessivo il libro nella seconda parte.
Lui, arrivato al successo per caso senza alcuna probabilità di riuscirvi perché una casa editrice pubblica per caso un suo scritto che ha un’enorme risonanza, perde la capacità di scrivere e la voglia di vivere perché non si riconosce più nella sua classe di appartenenza, troppo inferiore a lui, e nemmeno nel mondo borghese, perché lo disgusta che tutti ora lo cerchino non per il contenuto dei suoi scritti ( magari neanche letti e che sicuramente prima disprezzavano come disprezzavano lui) ma semplicemente perché ha avuto successo.
Privo di un senso per la sua vita e in qualcosa in cui credere, non è nulla e, mentre prima rifiutava il sonno, ora lo cerca, senza che il suo individualismo esasperato lo possa salvare come la sua cultura. Si finisce per provare grande compassione per lui, rabbia per la mercificazione e lo svilimento di tutto, compreso l’amore, ma alla fine non è che la società descritta da London sia molto diversa dalle nostra, per cui ciascuno può fare le opportune riflessioni.
Consiglio questo romanzo a chi ama le storie ben scritte, vuole provare forti emozioni e vuole scoprire un Jack London diverso dall’autore de “Il richiamo della foresta”, per quanto in ogni caso London chiuda in modo molto pessimista la formazione di Martin Eden e in generale le riflessioni sul mestiere dello scrittore e il rapporto con le case editrici ( e questo mi ha ricordato molto “La verità sul caso Harry Quebert”, quando l’autore critica in modo feroce il mercato dei libri, puro business senza sostanza, basato solo sulla ricerca del successo).
Recensione di Eleonora Benassi
Per i romanzi di Jack London potete trovare altre recensioni QUI
Film MARTIN EDEN, di Pietro Marcello
titolo originale: MARTIN EDEN (ITALIA, 2019)
regia: PIETRO MARCELLO
sceneggiatura: PIETRO MARCELLO, MAURIZIO BRAUCCI
cast: LUCA MARINELLI, JESSICA CRESSY, CARLO CECCHI, MAURIZIO DONADONI
durata: 127 minuti
giudizio: ★★★★☆
Martin Eden si è trasferito a Napoli, da buon scugnizzo si è imbarcato sulle navi e ha girato mezzo mondo (ma ha visto solo i porti), ha rinunciato alla scuola preferendogli l’avventura e la misera paga da marinaio, sentendosi appagato. Un bel giorno però, salvando da un aggressione il giovane rampollo di buona famiglia Arturo Orsini, entrerà nelle grazie della bellissima sorella Elena, innamorandosene perdutamente: l’ “ingresso” nel cuore della fanciulla andrà di pari passo con l’ingresso nell’alta società, in un mondo in cui si sente estraneo ma anche affascinato, e in cui cercherà di omologarsi completamente.
Le cose ovviamente non andranno bene: non basta scrollarsi di dosso la polvere per diventare aristocratico, così come non basta comprare una macchina per scrivere per diventare scrittore… eppure per Martin l’idea di vivere esclusivamente dei proventi propri libri e dei propri racconti (pur non avendo nemmeno la quinta elementare) diventerà ben presto un’ossessione, che lo porterà a vivere di stenti e mettere in discussione la sua relazione con Elena, altalenante come i suoi magri guadagni.
A Pietro Marcello va riconosciuto innanzitutto il coraggio, enorme, di aver preso per le corna un romanzo di culto del primo Novecento, per giunta americano, e averlo trasferito in una Napoli cosmopolita, indefinita, volutamente senza riferimenti temporali, a significare l’universalità di tempo e di spazio della storia che racconta. Nel film vediamo una Napoli che attraversa quasi cinquant’anni del secolo precedente, in cui le epoche e le storie si sovrappongono senza precisione cronologica (si vedono fascisti e migranti sulla stessa spiaggia, penna a calamaio sulla scrivania e la televisione sul comò…) e in cui la vicenda personale di Martin Eden diventa quella, emblematica, del nostro Paese: un paese ancora giovane, acerbo, che non ha trovato dopo oltre centocinquant’anni la sua vera identità. Un’Italia dibattuta tra socialismo e individualismo, tra borghesia e proletariato, divisa e arroccata sui propri particolarismi. Oggi come allora.
Il Martin Eden di Pietro Marcello, pur solo liberamente ispirato all’omonimo libro di Jack London (del 1909) si mantiene formalmente piuttosto fedele al testo originale, eppure il regista italiano è abile nel costruirne una versione comunque personalissima e d’autore: alternando musiche d’epoca e filmati di repertorio alla fiction vera e propria, Marcello destruttura svariati generi cinematografici per arrivare a una sintesi raffinata oltre che complessa, che va dal romanticismo alla poesia, dal documentario al feuilleton, dal film d’impegno al dramma, saltando da un momento storico all’altro, dall’euforia delle lotte sociali alla disperazione di un uomo solo, testardo, incompreso, dibattuto tra il perseguire i suoi ideali alti e nobili oppure adattarsi, riconvertirsi a una società standardizzata e vivere di rendita beandosi della propria mediocrità.
Un bel film italiano, e lo diciamo finalmente con grande soddisfazione: un film universale, comprensibile a tutte le latitudini, in ogni lingua, portatore di un messaggio omologante (nel senso, ahimè, più amaro del termine), ovvero di come la Storia sia sempre scritta dai potenti, e di come una società geneticamente e sottilmente razzista trovi sempre terreno fertile nelle classi meno abbienti e meno istruite. Menzione speciale per il suo bravo protagonista, Luca Marinelli, che giganteggia nel ruolo e finalmente riuscirà (forse) a staccarsi per sempre di dosso l’etichetta dello “zingaro” di Lo chiamavano Jeeg Robot (grazie anche alla Coppa Volpi vinta – con tanto di speech politico – all’ultima Mostra di Venezia), ma ottimi anche i camei di Carlo Cecchi e Maurizio Donadoni, nonchè della debuttante Jessica Cressy, un bel volto femminile di cui sicuramente risentiremo parlare.
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