LE STANZE DELLO SCIROCCO Cristina Cassar Scalia

LE STANZE DELLO SCIROCCO, di Cristina Cassar Scalia

 

Le stanze dello scirocco Scalia
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Recensione 1

Una storia d’amore ambientata nella Sicilia del 1968 tra benestanti e nobili decaduti, tra palazzi liberty e tenute di campagna, tra bellezze naturali mozzafiato e macerie post belliche.
Lei, Vittoria detta Vichy, studentessa universitaria, bellissima, determinata e votata al progresso, la ragazza che arriva dal continente.“Era arrivata lì preoccupata, contrariata, prevenuta, e in più orgogliosamente libera da legami amorosi. Aveva temuto ciò che invece adesso le sembrava di poter gestire benissimo, in fondo anche divertendosi. Si era innamorata di un uomo che più siciliano non poteva essere, e di una terra che, una volta conosciuta, l’aveva avvolta nelle sue sensuali spire senza più lasciarla andare.”

Lui, Diego Ranieri, uomo del sud, possidente, tanto tenebroso quanto dotato di un fascino irresistibile, un Alain Delon nostrano, restio ai sentimenti e alla vita sociale.

“Ma nella stanza dello scirocco, a quell’ora quasi in penombra, ogni forma di cautela venne meno”

E poi c’è la storia di zia Rosetta con il suo Peppino.

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Con una scrittura senza sbavature, logicamente costruita per una trama prevedibile dalle forti tinte rosa, Cristina Cassar Scalia ci permette di vivere una fiaba siciliana senza alcun sforzo di profondità e ci fa sognare a occhi aperti, mentre l’esistenza del reale si scontra con la crudeltà e l’insensatezza delle storie vere.
Coerente con i soliti cliché del romanzo sentimentale, l’autrice sembra non ingannare i suoi lettori, proponendo un romanzo che affronta con elasticità melodrammatica temi abbastanza forti, stemperandoli con i piacevoli dialoghi in un dialetto siciliano elegante e colto.
Tra l’odore di zagara e il profumo di salsedine la trama scorre liscia, saltando con agilità letteraria gli ostacoli, i muri a secco, le barriere, oltrepassa i confini grazie alla forza di quell’amore che soltanto i libri sanno raccontare. La cornice ambientale edulcorata dalla capacità dell’autrice che ha saputo cogliere il bello e il fantastico di una terra spesso amara e restia al cambiamento, ha regalato un tocco di magia mediterranea a tutta la storia dal titolo suggestivo e coinvolgente.
Fa bene ogni tanto affidare a queste storie pulite, lineari, fresche il proprio tempo perché sono letture senza pretese che hanno il solo scopo di alleggerire il cuore e dove i drammi, anche quelli violenti, estremamente dolorosi, vengono raccontati con la leggerezza di una ingenuità disarmante che soltanto una brava scrittrice è capace di narrare senza scadere nell’insipida banalità dei ruoli dei protagonisti.

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N.B.
“Le Camere dello Scirocco” sono vere e proprie stanze interrate scavate nella roccia al di sotto dei palazzi nobiliari oppure nei giardini delle ville, utilizzate come luogo di rifugio e di protezione dalla calura estiva. La definizione di “camera dello scirocco” è presente per la prima volta in un documento notarile del 5 agosto 1691, in riferimento alla stanza sotterranea presente nella Villa delle Quattro Camere del duca di Terranova, ma la loro origine è certamente anteriore a questa data.
Il funzionamento di una Camera dello Scirocco è al tempo stesso semplice e geniale. Il loro scopo primario è quello di assicurare agli ospiti della villa un clima gradevole anche durante le afose estati siciliane, e per farlo utilizzano tre elementi: una grotta, una corrente d’aria, l’acqua. La loro struttura di base è una grotta artificiale scavata nella roccia calcarenitica di cui è composto il sottosuolo palermitano, un tipo di roccia al tempo stesso molto stabile e facile da lavorare utilizzata fin dalla preistoria. Una “Camera dello Scirocco”, dunque, è in primo luogo una grotta artificiale, ambiente già di per sé in grado di fornire protezione dalla calura estiva esterna che i nobili abbellivano con tendaggi, divani e fontane.

Recensione 2

“La Sicilia è màvara. Quando uno se ne va, lei gli fa la fattura: che se non torna muore di nostalgia”.

E la storia qui narrata parte proprio da un nóstos, un viaggio di ritorno intrapreso dal notaio Sgalimberti insieme alla moglie e alla figlia Vichy, in virtù dell’impossibilità di resistere a quel richiamo.

Non mi soffermo sulla trama, che ritengo secondaria rispetto alla capacità che ha l’autrice di restituirci l’anima chiaroscurale della Sicilia in un periodo di grande cambiamento come quello del ’68.

Oltre che narrarci di due storie d’amore, che scorrono separatamente per poi convergere insieme, questo romanzo riesce a rendere per varie vie l’aspetto sensuale, decadente e malinconico ma anche ambiguo e contraddittorio che in quegli anni, e per certi versi ancora oggi, ha caratterizzato l’isola.

Ecco allora Palermo, città dai mille volti, che alla superba bellezza del centro contrappone il degrado delle periferie, che in un mercato popolare concentra la vitalità di mille colori, voci e sapori, che allo sfarzo architettonico di tempi migliori sostituisce lo scempio edilizio delle nuove imprese da profitto; ma ecco anche Montuoro, paesino immaginario dell’entroterra a cui i nostri ritornano, in cui si concentrano tutte le idiosincrasie di una società ancora tradizionalista, clericale, maschilista, in cui all’uomo è concesso un po’ tutto mentre la donna deve rigare dritto e secondo le buone regole impartite nei salotti signorili e condivise nelle sale da barba, dove il chiacchiericcio fa presto a divenire giudizio perché lì, nei palazzi, nelle piazze e dentro le chiese l’apparenza è una vera e propria filosofia di vita.

Ma la storia è ricca anche di risvolti che rimandano a vicende importanti di quegli anni, come la legge Basaglia, il sacco di Palermo, la scuola innovativa di don Milani. Vi si respira il fermento della rivoluzione ma anche il profumo di ciò che è isolano e sempre lo sarà, la zagara della campagna pigra e sonnacchiosa, le tradizioni come quelle dei morti, in cui anche per i piccoli si assottiglia il confine tra chi è vivo e chi non lo è più, il senso di quella famiglia che, come diceva Sciascia, è lo Stato del siciliano, e che qui si esprime tramite gesti e sguardi che non hanno bisogno di parole. Sparsi nella narrazione ho ritrovato anche alcuni tratti ereditati dai nostri grandi scrittori, dai Don Giovanni di Brancati alle maschere di Pirandello all’aria salottiera del Gattopardo.

E su tutto si impone la presenza misteriosa di un luogo suggestivo, per l’appunto la stanza dello scirocco, ipogeo dove un tempo si trovava tregua dall’arsura estiva e qui punto di snodo in cui la freschezza di certi nuovi arrivi riuscirà a sciogliere il fervore di pregiudizi e incomprensioni.

Questo romanzo mi ha offerto l’occasione di scoprire una brava scrittrice e di immergermi a pieno nelle mille sfaccettature della mia amata isola. Lo consiglio a chi la Sicilia voglia scoprirla o ritrovarla o a chi abbia semplicemente voglia di sognare una bella storia.

“Sai cos’è la nostra vita, la tua e la mia? Un sogno fatto in Sicilia. Forse siamo ancora lì, e stiamo sognando”.

(Sciascia, da “Candido. Un sogno fatto in Sicilia”.)

Recensione di Magda Lo Iacono
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