CECITÀ José Saramago

CECITÀ, di José Saramago

 

Cecità Saramago recensioni Libri e News
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Recensione 1/4 

“Vuoi che ti dica cosa penso, Parla, Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, ciechi che vedono, ciechi, che pur vedendo, non vedono”

Cecità…colpisce all’improvviso chiunque, un oculista, una ragazza con gli occhiali scuri, un ragazzo strabico, un uomo con la benda, un ladro; e colpisce in ogni luogo, in casa, in studio, in un hotel, in macchina

Cecità…è come finire in un mare di latte, una cecità bianca, luminosa, totale, che divora i colori, le cose e gli uomini rendendoli doppiamente invisibili.

Cecità…non solo degli occhi, cecità della ragione, del cuore e dell’anima. La disperazione che sfocia nella perdita del raziocinio e di tutti quei principi e quei valori di solidarietà, comprensione e aiuto reciproco che dovrebbero distinguere e appartenere all’essere umano.

 

 

Cecità…che mette a nudo e scava nella profondità dell’animo umano, tirando fuori il lato peggiore che è in ogni uomo.

Un’umanità trasformata in una massa di zombie, ciechi che si spostano ed agiscono in gruppo, con le braccia protese, si muovono con cautela, disorientati, sporchi, debilitati, affamati, si urtano, cadono, si scontrano, inciampano, si calpestano e si contendono il cibo.

Con una differenza però: gli zombie no hanno coscienza, gli uomini ciechi sì.

Cecità…è la perdita di ogni sovrastruttura, è l’essenza, il nucleo dell’uomo. E quindi l’uomo denudato di ogni sovrastruttura è bene o è male? Saramago li descrive entrambi: la pietà per sé stessi e gli altri, la comprensione, il sacrificio, la dedizione ma anche le minacce, gli stupri, la violenza, le sopraffazioni, le aggressioni.

Cecità…non una manifestazione scientifica ma piuttosto uno stato dell’essere

Cecità…è forse l’unico modo per vedere, per vedere noi stessi, per vedere gli altri, per vedere il mondo davvero

Cecità…è il male che colpisce il nostro mondo, cieco di fronte alle ingiustizie, alla fame, alla povertà, all’indifferenza, alla richiesta di aiuto.

“E’ di questa pasta che siamo fatti, metà di indifferenza e metà di cattiveria”

 

 

Eppure, nonostante tutto, c’è una donna, l’unica a non aver perso la vista, costretta a vedere gli orrori che nessuno può vedere, una donna talmente sconvolta dal male che la circonda, da desiderare di diventare cieca a sua volta, questa donna non perde la sua umanità e ridà la speranza…

“Oggi è oggi, domani è un altro giorno, e io la responsabilità ce l’ho oggi, non domani, se sarò cieca, Responsabilità di cosa, La responsabilità di avere gli occhi quando gli altri li hanno perduti”

Non perdiamoci nel mal bianco…

Buona lettura!

Recensione di Cristina Costa

 

Recensione 2/4

Fermo a un semaforo, un automobilista si accorge di essere diventato, improvvisamente, cieco.

Una cecità molto particolare dal momento che, senza alcun sintomo, vede tutto bianco.

Un altro uomo si offre di riaccompagnarlo a casa con l’obiettivo, in realtà, di derubarlo dell’auto approfittando della sua condizione.

Ancora frastornato dall’accaduto, l’automobilista racconta alla moglie quanto gli è accaduto.

I due si recano da un medico specialista dove incontrano un vecchio con una benda nera su un occhio, un ragazzino strabico accompagnato da una donna e una ragazza con degli occhiali scuri; tutti i pazienti sono misteriosamente colpiti dallo stesso tipo di improvvisa e bianca cecità per la quale il medico si accorge di non aver alcuna spiegazione.

Ben presto, nella città senza nome, la cecità comincia a diffondersi rapidamente come una terribile e angosciante epidemia. Non c’è cura; non c’è rimedio; non c’è scampo se si è stati a contatto con un altro cieco.

Allo scopo di evitare il contagio, il governo del paese decide, provvisoriamente, di rinchiudere in quarantena i ciechi e, sebbene misteriosamente non contagiata, anche “la moglie del medico” si finge in questa terribile condizione pur di non lasciare solo il marito.

Nonostante il rigido isolamento, il numero di contagiati aumenta esponenzialmente di giorno in giorno e la situazione inizia a sfuggire da ogni genere di controllo, finché…

 

Romanzo distopico dello scrittore premio Nobel per la letteratura portoghese José Saramago, “Cecità” non teme di descrivere fra le sue pagine una natura umana terribile e primordiale. Svaniscono i legami di sangue, non v’è più alcun rispetto verso le leggi e l’istinto primordiale -animale- alla sopravvivenza è l’unico a sopravvivere.

La narrazione è cupa, pesante, angosciante ma non per questo non si sente il bisogno di proseguire nella lettura.

La scelta di lasciare senza nome tutti i protagonisti, la scelta di non dare un nome, una causa alla malattia, la scelta di non dare un tempo, un luogo, rendono grande l’opera perché, a pensarci, è l’essenza dell’uomo stesso a rimanere, fra queste pagine, priva di ogni valore, priva di ogni sentimento… senza.

Ciechi di speranza e senza ciò che rende l’uomo Uomo.

Lascia molto turbati questo romanzo… forse per la sua trasversale attualità.

Erika Polimeni

“È di questa pasta che siamo fatti, metà di indifferenza e metà di cattiveria.”

Recensione di Erika Polimeni

 

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Recensione 3/4

Tre anni dopo aver scritto questo romanzo, Saramago ha vinto il Nobel per la letteratura. Lo ha vinto perché qui dentro ha messo tutta l’umanità, senza esclusioni.

 

È una storia immaginaria e avvincente che racconta come la civiltà sia un’ entità fragile, senza radici; gli esseri umani messi in una condizione di grande panico (una sconosciuta epidemia globale che rende ciechi) e senza alcun controllo sociale, regrediscono velocemente a uno stato animale dove vige la regola del più forte e dove ogni empatia scompare. La cecità visiva diventa cecità della ragione. 

Lo stile è unico; quasi non esiste la punteggiatura, i protagonisti non hanno nomi propri ma vengono identificati con impersonali caratteristiche fisiche e sociali (come il vecchio con la benda nera, il dottore, o la moglie del dottore). In questo limbo confuso l’ importante è capirsi e il messaggio che ne esce è comunque incredibilmente netto. 

 

I fatti vengono esposti in maniera asciutta, diretta; secondo l’ autore non esistono altri modi possibili di parlare delle atrocità del mondo (perché questo racconto è sì immaginario, ma parla di ciò che avviene costantemente in ogni angolo del globo). Mancano aggettivi adatti o, forse, per dirlo con le parole di una delle protagoniste (l’ unica che vede, in tutti i sensi) a mancare sono i sentimenti. 

Capolavoro sconsigliatissimo perché fa stare male e che, temo, si imprime a fuoco nella memoria.

Recensione di Nicoletta Tamanini

Recensione 4/4

Un mondo di merda. Ecco il libro di José Saramago. Descritto con pochissime parole. Rabbrividiscono i buonisti di sublimi sentimenti con lo stomaco sazio e le viscere piene d’acqua. Lo so. Lo vedo!
I ciechi di luce bianca, l’illusione del bagliore divino, la maschera del nulla.

Che cosa vedono gli occhi se non quello che vogliono vedere, la pienezza di un’umanità fittizia basata sulla sazietà delle viscere, budella laboriose e lubrificate, la fortuna dell’evacuazione e la certezza traballante di essere i prescelti: umanità spicciola nel bagliore di un sole bianco che illumina soltanto la propria meschinità.

Bendata è la Misericordia, frutto di chi la guarda, cieco, con gli occhi aridi di un Paradiso illusorio e come sommaria e egoistica ala divinatoria dell’ignoto e del mistero, giustificatrice di squallidi e incoerenti sentimenti, falsa sensibilità di uno sguardo offuscato dal proprio egoismo.

Ah la Cecità, il vuoto che rende primitivi in un mondo consunto e prosciugato.
E guardare non significa vedere.

Fame è guardare, arraffare un tozzo di pane sottratto al debole è guardare, bere dalla ciotola dell’assetato è guardare, purificarsi con il sangue del tuo simile è guardare, e guardare è il non vedere che l’altro è il riflesso di te stesso.
Derubare se stesso per la sopravvivenza del proprio involucro, carne destinata alla decomposizione.
Tendere quelle mani svuotate per prendere, acchiappare, sbrindellare la carne di un altro involucro.

Occhi che non vedono cuore che non duole. E si vive così, credendo che tutto ha una forma e un’identità e, nel definire i contorni geometrici scavalcando i morti, non accorgersi di perdere a ogni passo la facoltà del vedere il mondo per quello che è realmente : il nulla nel tutto, il tutto nel nulla. E piangere nello scoprirsi improvvisamente ciechi in una dimensione di luce bianca, e convincersi, nella tradescanzia, che la colpa è sempre di qualcun’altro e di un’altra cosa, che per chi può vedere non è altro che il riflesso in uno specchio.

E chi vede vorrebbe non vedere per potere con le unghie graffiare i muri, scorticare la pelle, succhiare la linfa della vita altrui: la giustificazione, il quietare la coscienza sporca, fetida, marcia.

Il romanzo di Josè è un groviglio di braccia, gambe, viscere, cacca, urina, vomito, e l’ammasso di corpi senza più forma, orda primitiva, muta di carni randagi, un’umanità senza tenebre, perché anche queste ultime si perdono nella luce bianca di una immobile purezza cosparsa di sangue.

E se il libro vuole essere denunzia della grettagine umana, è anche speranza di chi vede senza vedere ciò che non appare, in attesa, chissà, un giorno, forse, che l’umanità intera riesca a vedere con quegli “occhi” interiori che non hanno nome.

Bellissimo il passo della ragazza dagli occhiali scuri e il vecchio con la benda nera: loro hanno visto, vedono, loro vedono!

Recensione di Patrizia Zara

Titolo presente nella Rassegna dei libri più letti e commentati a Marzo 2020

e nelle 5 recensioni più cliccate a Marzo 2020

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