La straordinaria fioritura degli scrittori che vengono dalla Sardegna

La straordinaria fioritura degli scrittori che vengono dalla Sardegna

Queste del titolo sono le parole con le quali il famoso saggista e critico letterario e cinematografico, Goffredo Fofi, ha accompagnato la recensione dell’opera di Alberto Capitta, sassarese, uno dei tanti autori della folta schiera di scrittori sardi che si sono succeduti sino ai giorni nostri.

In effetti, siamo davvero in presenza di un fenomeno peculiare, quasi di una ‘scuola’: una identità culturale territoriale che ha pochi uguali, paragonabile ad altre correnti letterarie capaci di rendere universali i luoghi dai quali provengono. Dove possiamo andarne a ricercare le radici?

É stata l’Unita d’Italia a sdoganare la storia di un popolo distinto e carico di riti ancestrali e misteriosi come quello sardo e a far entrare quella storia nella pluralistica vicenda nazionale. 

Alla fine delle guerre d’Indipendenza, l’ansia di riscatto e di integrazione, pur col bagaglio delle proprie tradizioni più vere, costituì un potente volano culturale che cominciò a scavare nel profondo della società patriarcale: l’ispirazione ad uscire da confini sentiti ormai come angusti fu patrimonio anzitutto degli intellettuali e dei letterati provenienti dall’isola.

 

 

Pochi di noi, infatti, ricordano nomi di romanzieri sardi di valenza non localistica prima dell’arrivo sulla scena postunitaria di Grazia Deledda. Nata nel 1871, autodidatta nella chiusa società nuorese, sarebbe giunta ad ottenere il Premio Nobel per la letteratura nel 1926 a 55 anni: Luigi Pirandello, che pure era nato prima, l’avrebbe conseguito solo 8 anni dopo di lei. Grazia Deledda narrò la crisi della vecchia società patriarcale, contadina e pastorale, visse a lungo nel ‘Continente’, ma non tradì mai la sua origine isolana. Agli albori della televisione, il suo romanzo più famoso, ‘Canne al vento’, diventò anche uno sceneggiato che raccolse un grande successo di pubblico e in ‘Elias Portolu’ descrisse una storia di amore, di morte e di liberazione dalla colpa che richiama lo stile di Dostoevskij. Eppure le sue opere, che delineavano una Sardegna dura e antiquata, le causarono la riprovazione dei nuoresi più retrivi. C’era ancora strada da fare: nemo profeta in patria!

 

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Una medesima ostilità toccò a Salvatore Satta, giurista di livello nato a Nuoro che fu autore di uno dei capolavori del ‘900, ‘Il giorno del giudizio’, una sorta di Antologia di Spoon River in prosa nella quale l’autore, tornato nella città natale in tarda età, visita il cimitero e ricorda, senza ipocrisie, eventi e persone reali. Il libro fu trovato e pubblicato dopo la sua morte, ma questo non lo sottrasse alle critiche di una società ancora chiusa nel suo tradizionalismo.

 

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Emilio Lussu, nato nel 1890 vicino a Cagliari, rappresentò l’emancipazione di un patrimonio sardo al quale restò attaccato sino alla sua morte pur promuovendone con energia inesausta l’indispensabile ingresso nello scenario nazionale. Politico di valore, fu uno dei fondatori del Partito Sardo d’Azione, poi di Giustizia e Libertà con Nitti, Salvemini e La Malfa, poi ministro e senatore del Psi, poi ancora nel Psiup con Vittorio Foa. In ‘Un anno sull’altipiano’, ufficiale nella prima guerra mondiale, descrisse l’assurda disciplina e la spietata vita di trincea subita dai contadini analfabeti sardi che componevano la Brigata Sassari, un libro unico, essenziale, terribile, bellissimo. In ‘Marcia su Roma e dintorni’, opera pregevole e tutt’ora di grande interesse, mise in luce le complicità di cui il fascismo poté godere nella sua ascesa verso il potere.

 

 

Infine, Giuseppe Dessì, anch’egli cagliaritano degli inizi del ‘900, dopo una gioventù difficile alle soglie del tentato suicidio, consolidò la sua formazione sino a giungere all’Accademia dei Lincei e a vincere nel 1972 il Premio Strega con ‘Paese d’ombra’ dal quale emerge la Sardegna mitica e antica contrapposta ad una Italia giudicata priva di valori e di principi.

 

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È stato dunque con tali autorevoli precedenti che i padri e le madri nobili hanno creato le basi per una più robusta ed organica narrazione di questa isola e dei suoi grandi contrasti tra le resistenze del mondo arcaico e il cammino verso una sua emancipazione che non rinnegasse il passato. Non bisogna dimenticare che il fascismo tentò di decapitare la lingua sarda, cosicché nel dopoguerra crebbero insieme il desiderio di cambiamento e una rinnovata attenzione alle proprie radici originarie, unitamente al bisogno di compensare il distacco tra cultura moderna e cultura popolare: l’ansia di liberazione degli anni ‘60 e ‘70 scavò ancor più nel profondo verso la ricomposizione di quelle contraddizioni.

A 6 anni Gavino Ledda fu ritirato dal padre dalla prima elementare per andare a fare il lavoro del pastore: ‘Padre padrone’, edito nel 1975, vincitore del Premio Viareggio,  fu la spietata e celebre rappresentazione della sua vicenda autobiografica e diventò un simbolo di affrancamento, facendo anche da soggetto per un famoso film dei fratelli Taviani. Ledda ottenne la licenza elementare durante il servizio militare e poi continuò fino alla laurea, fu ammesso all’Accademia della Crusca (ricordiamo Dessì?) e divenne a Cagliari assistente universitario di filologia romanza.

 

 

 

Giulio Angioni, antropologo dell’Università di Cagliari, che proviene dal mondo contadino ed a quel mondo è ritornato da ricercatore, è altresì un prolifico scrittore e, grazie alla sua formazione, un esponente di rilievo della più recente letteratura ed un promotore di scrittori di origine sarda. Tra le sue opere più conosciute è da citare ‘Assandira’ nella quale spesso pare di trovarsi di fronte ad un Pirandello sardo, con la medesima analisi parcellizzata e introspettiva dei personaggi: il film che è stato tratto dal libro ha avuto come protagonista Gavino Ledda.

Dapprima insegnante di religione, poi venditrice di multiproprietà e successivamente portiera notturna d’albergo, Michela Murgia prosegue la tradizione degli scrittori autodidatti che interpretano con l’emancipazione personale e politica quella della loro terra di origine. Il suo romanzo ‘Accabadora’ le è valso nel 2010 il Premio Campiello ed è stato tradotto e diffuso in tantissimi paesi: è la storia della scoperta delle tradizioni più segrete, dell’abbandono e del ritorno, del rifiuto di quelle usanze e della successiva pietosa comprensione del loro radicamento, una storia di donne e delle radici antiche della loro accorata sensibilità.

 

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Fantasioso, ironico, a volte struggente, fuori dagli schemi ed a suo modo innovatore pur sempre aggrappato al mondo contadino e pastorale, alle memorie nuragiche, Matteo Locci, alias Gesuino Nemus, originario della provincia di Nuoro, è stato uno degli eventi letterari degli ultimi anni, vincitore nel 2015 con ‘La teologia del cinghiale’ di un Premio Campiello Opera Prima al quale hanno fatto seguito altri romanzi dall’esito fortunato come ‘Il catechismo della pecora’ o ‘I bambini sardi non piangono mai’. Chissà cosa produrrà ancora per il futuro questo originale autore suggestivo e non convenzionale.

“Ad Abacrasta di vecchiaia non muore mai nessuno (…). Tutti gli uomini, arrivati a una certa età si slacciano la cinghia e se la legano al collo. Le donne usano la fune.” Questa è il compendio della narrazione che fa nel suo primo libro edito con Adelphi,  ‘La leggenda di Redenta Tiria’, Salvatore Niffoi di Orani, piccolo centro della Barbagia. Niffoi, anch’egli vincitore nel 2006 di un Premio Campiello con ‘La vedova scalza’, è ormai un autore di punta nel panorama nazionale: dalla sua penna, che non dimentica la lingua sarda e la mescola con sapienza all’italiano, è appena uscito nelle librerie ‘L’apostolo di pietra’.

 

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E ancora: Marcello Fois, nuorese, scrittore e scenografo, un grande e prolifico narratore vincitore nel 2007 del Premio Super Grinzane Cavour, capace di affrontare, con la medesima padronanza della lingua, generi diversi e del quale è sufficiente ricordare qui un solo volume, ‘Pietro e Paolo’, che contiene in sé la sintesi dell’intera sua narrativa.

Ma come non menzionare, infine, il valore di numerosi autori sardi assurti a fama nazionale per il genere dei libri gialli? Un thriller ambientato in Sardegna costringe il lettore a misurarsi con aspetti singolari, valori e mentalità non riscontrabili altrove.

Anzitutto Salvatore Mannuzzu, sardo nato a Grosseto nel 1930, ma con Sassari nell’anima che vinse nel 1989 il Premio Viareggio con ‘Procedura’, storia di una indagine e di una discesa agli inferi nei meandri di una società separata; anche quest’opera è stata oggetto di una trasposizione cinematografica.

 

 

Giorgio Todde, cagliaritano, diventato famoso con ‘Le indagini dell’imbalsamatore’, cinque romanzi che hanno come protagonista il personaggio storico Efisio Marini, inventore di una tecnica di pietrificazione dei cadaveri la cui formula segreta è andata perduta con la morte dello scienziato. Primo volume della serie ‘Lo stato delle anime’, un giallo dal finale non banale perché, anziché destinare la scoperta del colpevole alla conclusione del libro, la anticipa e lascia alle ultime pagine un ulteriore e non breve epilogo.

Lo stesso Marcello Fois, da ‘Dura madre’ in avanti, si è misurato con un autorevole successo con questo genere noir in numerosi titoli facilmente reperibili in libreria.

Ma lo scrittore simbolo del poliziesco che viene dalla Sardegna è senz’altro Piergiorgio Pulixi, un giovane autore bravo, essenziale e senza fronzoli che, in un crescendo di tensione, scrive storie forti, coinvolgenti e attrattive nelle quali emergono spesso i cerimoniali ancestrali e misterici della Sardegna più primitiva. Non abbiamo che l’imbarazzo della scelta tra la saga di ‘Biagio Mazzei’, ‘La scelta del buio’, ‘Per sempre’, ‘Per mia colpa’, sino al più recente ‘La settima luna’ con i simboli rituali sardi esportati dal Supramonte fino alle rive del Ticino.

 

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È bene fermarsi qui, anche se non si rende giustizia ad altri romanzieri che compongono la folta schiera degli autori della letteratura contemporanea di origini isolane: Flavio Soriga, Laura Usai, Sergio Atzeni, Bianca Pitzorno, Claudia Zedda, Elvira Serra ed altri ancora testimoniano l’esistenza di una corrente letteraria consolidata e dalla spesso rilevante consistenza qualitativa. 

“Il sardo è una lingua, l’italiano un dialetto!”: così si esprimevano Aldo, Giovanni e Giacomo nel corso di una fortunata edizione televisiva di ‘Mai dire Gol’ nella quale interpretavano un gruppo di surreali tifosi della squadra di calcio del Cagliari. Non è certo vera la seconda parte di quella ironica affermazione, ma la prima non appare lontana dalla realtà.

Antonio Gramsci, sardo, grande intellettuale nazionale, uomo politico e martire antifascista, così scriveva a marzo del 1927 alla sorella Teresina: “(…) Il sardo non è un dialetto, ma una lingua a sé. Ti raccomando di lasciare che i tuoi bambini succhino tutto il sardismo che vogliono e si sviluppino spontaneamente nell’ambiente naturale in cui sono nati: ciò non sarà un impaccio per il loro avvenire, tutt’altro.”.

Di Giovanni Rossi

 

 

 

 

 

 

 

 

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