LA FAMIGLIA, APPRODO O PRIGIONE? – UNA FAMIGLIA AMERICANA Joyce Carol Oates

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LA FAMIGLIA, APPRODO O PRIGIONE? – UNA FAMIGLIA AMERICANA, di Joyce Carol Oates (Il Saggiatore)

“Eravamo i Mulvaney, vi ricordate di noi?…Per parecchio tempo ci avete invidiato, poi ci avete compianto. Per parecchio tempo ci avete ammirato, poi avete pensato ‘Bene! E’ quello che si meritano”.

Inizia così, in un arco temporale che va dagli anni ’60 agli anni ’90, la storia dei Mulvaney, famiglia che vive ad High Point Farm, una fattoria nel Nord dello stato di New York che è un posto da fiaba, ricca di verde e di animali di ogni sorta, cervi, cavalli, cani, gatti, canarini, così amati e umanizzati da fare tutt’uno con i loro padroni. A inizio narrazione si viene sommersi da una storia assolata, di confusa e frenetica felicità, di vite che si incrociano, si sfiorano, si prendono bonariamente in giro con nomignoli affettuosi e con un vero e proprio codice familiare che è vietato o preoccupante infrangere perché, come afferma ripetutamente il capofamiglia, Michael Sr., “Noi Mulvaney siamo legati dal cuore”.
UNA FAMIGLIA AMERICANA Joyce Carol Oates
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Michael è un uomo che si è fatto da sé, figlio ripudiato di una famiglia della classe operaia, ma capace di ricostruire la propria immagine nelle vesti di uomo d’affari di una piccola città americana con proprietà terriere, soldi, e influenza, in un’aura di benevolenza e rispettabilità agli occhi di tutti. Poi c’è Corinne, la donna di cui si è innamorato da giovane, così forte da impedire alla sua ondeggiante barchetta di perdere la rotta; Corinne, donna sempre nervosamente allegra, febbrile, democratica e liberal, il tipo di fervida protestante che non permette a nessuno di intromettersi tra sé e Dio. E insieme a loro i quattro figli, orgoglio di mamma e papà e modello per tutta la comunità: Mike J., bello quanto mai e campione di football della propria scuola, Patrick, lupo solitario ma promettente scienziato in erba, Marianna, detta anche Germoglio, modello di ragazza cristiana vergine nel corpo e nell’anima e cheerleader invidiata da tutta la scuola, e infine Judd, il piccolo e tenero di casa che vive dei ricordi propri e altrui, e che da grande e da giornalista, a distanza di circa quarant’anni, sente il bisogno di raccontare, di mettere su un album di famiglia basato sulla verità e privo di ipocrisia, quel genere di album che nessuna madre vorrebbe mai tenere in casa, perché “quali sono le parole per riassumere una vita, tanta affollata confusa felicità che si conclude con un atroce dolore al rallentatore?”.

Sì, perché a un certo punto accade un fatto a uno di loro, dalla portata così sconvolgente, disastrosa, dissacrante da sconvolgere tutti gli equilibri esistenti; il fatto accade nel 1976 e da allora ci sarà un prima e un dopo gli eventi del ’76, quando tutto andrà a pezzi e non verrà mai più ricomposto nello stesso identico modo. Il fatto sarà talmente devastante da non essere mai nominato se non come ‘quella cosa’ e la famiglia, da energia centripeta si trasformerà in forza centrifuga, facendo terra bruciata dentro e intorno a sé.

Se c’è una parola che userei per sintetizzare al meglio lo spirito di quest’immenso romanzo, sarebbe proprio la parola CRISI, che nella sua etimologia intrinseca contempla non solo la presenza di un momento difficile, problematico ma, da ‘krino’, distinguo, scelgo, anche la possibilità di decidere cosa farne di quel momento e quale strada provare a prendere. E in questo trovo straordinaria la Oates, perché ci tratteggia in maniera puntuale e particolareggiata lo sfaldarsi graduale di una famiglia e l’abbandono inesorabile, per ciascuno dei componenti, di un tranquillo posto al sole, per ritrovare in zone d’ombra, mai praticate forse perché mai cercate o solo pensate, una possibilità di autenticità che probabilmente non avrebbero mai provato se non si fossero allontanati da quell’Eden paradisiaco.

Il cammino sarà lento, tortuoso e doloroso, qualcuno verrà esiliato e chiederà ammenda per tutta la vita, qualcun altro cercherà vendetta e si farà giustizia da solo, ci sarà chi soccomberà sotto il peso della propria coscienza e chi resisterà, sopravvivendo o restando semplicemente a fianco, ma ognuno, a proprio modo, pagherà il conto con quel pregiudizio e quel perbenismo borghesi passivamente e inconsapevolmente accettati durante gli ‘anni felici’, proprio come asserisce Patrick durante il suo lungo cammino di presa di coscienza: “E’ un sollievo non dover badare a dove sei. Tutto quell’orgoglio che avevamo a casa, e l’ansia. Di tenere in piedi una specie di, non saprei, di vita familiare modello. Non che ce ne rendessimo conto, nemmeno mamma e papà. Anzi, loro meno di tutti. Appena me ne sono andato ho scoperto quanto sia grande il mondo. Devi solo riposizionarti. Il dove è momentaneo. Ti sposterai”.

Un romanzo forte, a tratti faticoso per la forte carica descrittiva ed emotiva, ma un romanzo importante, incisivo, una storia in grado di scaraventare ciascuno nel proprio album di famiglia, nelle foto luminose e in quelle buie, nei ricordi immortalati e in quelli sommersi, negli anni del procedere insieme e in quelli dello strappo e della rotta verso nuovi e personali sentieri.

La famiglia resta, sempre e comunque, ma forse, per provare a ritrovarne l’essenza più autentica, dovrai prima aver capito chi sei davvero.

Recensione di Magda Lo Iacono
UNA FAMIGLIA AMERICANA Joyce Carol Oates

L’isola dei tesori, dove gli animali sono preziosi

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