IL TESTIMONE INASCOLTATO, di Yannick Haenel
“L’orrore io l’ho visto”. Di che orrore si parla? Della shoah. Il libro di Yannick Haenel in francese si chiama Jan Karski e in italiano Il testimone inascoltato. Ha ricevuto due premi importanti (Prix du Roman Fnac e Interallié) ed è stato candidato al Goncourt.
Siamo in Polonia, nel 1942. Jan Karski è il nome di battaglia di Jan Kozielewski (1914-2000), militare attivo nella Resistenza. In un territorio invaso dai Russi e dai Tedeschi, la Resistenza polacca si muove con grande difficoltà e con due nemici entrambi desiderosi di annientare la Polonia. In un contesto di lotta sotterranea, il patriota Jan Karski viene contattato dai leader di due organizzazioni ebraiche che intendono affidargli il ruolo di portavoce della tragedia del loro popolo. Lo fanno entrare clandestinamente nel ghetto di Varsavia. E non solo. Successivamente, per ben due volte, lo portano in un lager, quello di Izbica Lubelska (estate 1942). Karski non crede ai suoi occhi.
Le scene a cui assiste vanno oltre l’umana immaginazione. Cadaveri nudi per le strade, donne che allattano con i seni inesistenti, cecchini rubicondi che ridono del bersaglio colpito. E il puzzo. Ne esce vomitando. Visioni che dopo gli anni della guerra, non lo lasceranno più dormire. Facendo delle sue notti insonni, una lunga notte bianca. Accetta la missione di «messaggero» e intraprende lunghi e rischiosi viaggi attraverso l’Europa in guerra, spingendosi anche oltremare, fino alla Casa Bianca, a colloquio con Roosevelt. Ma la sensazione che riporta dagli incontri con i grandi della Terra è quella di rimanere inascoltato, addirittura di non essere creduto. Decide così di lasciare la propria testimonianza in un libro di memorie e di ritirarsi a vita privata.
Haenel ha scoperto la storia di Jan Karski grazie a uno degli episodi di Shoah, il film del 1985 di Claude Lanzmann, di cui Karski è l’unico protagonista. L’abbandono e la passività degli Alleati sono per Haenel / Karski la ferita principale, la perdita della dignità, dell’umanità.
La Polonia è un paese “mal amato, bistrattato”, e i polacchi, “martiri e santi”, sono quasi trascendentalmente votati al ruolo di “dissidenti” nel mondo. Haenel ha orrore degli opportunismi esibiti dall’occidente prima, durante e dopo la seconda guerra mondiale, di cui Roosevelt – lo stesso che metterà a tacere le informazioni sulla responsabilità sovietica dell’eccidio di Katyń – è il principale rappresentante. Il Karski di Haenel si libera finalmente del segreto che ha censurato per decenni: nella divisione del mondo dopo il 1945 gli Alleati non si sono dimostrati dei vincitori, ma solo dei complici del nazismo, colpevoli dell’abbandono al loro destino di ebrei e polacchi.
Il testimone inascoltato, che Haenel ha scritto in chiave di romanzo, si compone di tre parti: la prima è la ricostruzione della vita di Karski, sulla base sia delle sue memorie; la seconda è una relazione assai toccante della sua intervista nel film Shoah e la terza si concentra sull’aspetto più trascurato da Lanzmann: la mancata reazione degli occidentali e il dolore di Karski.
Deluso, Karski si rende conto che le sue parole non raggiungono nessuno, che la parola umanità non è più da usare. E si chiude in un silenzio, in una vita senza sonno, riflette dentro una vasca da bagno foderata di coperte e cuscini, e gli unici, o quasi, a fargli visita sono fantasmi del suo passato: i torturatori della Gestapo, le ‘voci dei morti’ del lager in contrasto ai potenti della terra, indifferenti e indaffarati intorno ad altre questioni.
La parola la ritrova con l’insegnamento, i giovani restituiscono a Karski se non altro l’inesorabile senso di continuità della vita. I giovani vogliono sapere. Ad allietare la sua vita ci sarà il matrimonio con Pola, danzatrice ebrea polacca, scampata ai lager e emigrata in America. Un altro momento di gioia e di sensazione di appartenenza glielo regala “Il Cavaliere polacco” di Rembrandt, in esposizione alla Frick Collection di New York. Non importa se la storia viene trasfigurata. Per Haenel diviene un simbolo dell’assoluta solitudine dei polacchi, di Karski, ma anche di sua moglie: esiliati, davanti a quel dipinto, marito e moglie si sentono finalmente a casa.
A casa, io non mi ci sento più, dopo aver letto questo libro. Anche la mia casa si trova in Occidente. Quell’Occidente, complice del crimine dell’Olocausto e di quanti altri crimini ancora?
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