IL POTERE DEL CANE, basato sull’omonimo romanzo di Thomas Savage, trionfa ai Golden Globes 2022 come miglior film drammatico (ma il libro è ancora meglio…)

Libro/Film – IL POTERE DEL CANE – Thomas Savage – Jane Campion

 

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Libro IL POTERE DEL CANE, di Thomas Savage

 

“Il potere del cane”, basato sull’omonimo romanzo di Thomas Savage, trionfa ai Golden Globes 2022 come miglior film drammatico (ma il libro è ancora meglio…)

Il romanzo, pubblicato originariamente nel 1967, all’inizio è passato quasi inosservato, anche forse perché troppo in anticipo rispetto alla morale dell’epoca. Ma quando un libro è ben scritto, a volte è solo questione di tempo. E soprattutto di incontri. Il successo arriva infatti grazie a una riedizione del 2001, caldeggiata in particolar modo dal Premio Pulitzer Annie Proulx (una sua postfazione entusiasta è presente anche nell’edizione italiana).

Siamo in Montana, nel 1924, e protagonisti sono due fratelli dal carattere totalmente opposto: Phil, tanto brillante quanto insopportabile, e George, buono e remissivo. Insieme gestiscono il ranch più grande dell’intera vallata, ma a rompere gli equilibri arriva Rose, vedova di un medico morto suicida anni prima e madre di Peter, un ragazzo delicato e sensibile, che Phil ovviamente non sopporta. George la sposa dando inizio a un dramma che sconvolgerà le vite di tutti. Savage, con uno stile essenziale, senza sbavature, e a volte persino ironico, scava nell’animo dei suoi personaggi, e in particolare in quello di Phil, andando a indagare i motivi dei loro comportamenti e scoprendo traumi e lutti mai superati.

Un western atipico dove non tutto è come sembra, e dove a trionfare, alla fine, è la vendetta.

Se dicessi una parola in più, rischierei di spoilerare, quindi mi fermo qui. Aggiungo solo che sebbene protagonisti siano i due fratelli, il personaggio più particolare è quello di Peter (non a caso l’attore che lo interpreta ha vinto il Golden Globe come migliore attore non protagonista non solo grazie alla sua interpretazione ma, a mio avviso, anche grazie alla complessità del personaggio).

Recensione di Massimiliano Caruso

 

 

Film Titolo originale: THE POWER OF THE DOG (GB/NZL/CAN, 2021) regia: JANE CAMPION

sceneggiatura: JANE CAMPION
cast: BENEDICT CUMBERBATCH, JESSE PLEMONS, KIRSTEN DUNST, KODI SMITH-McPHEE, THOMASIN McKENZIE
durata: 136 minuti
giudizio: ★★★☆☆

 

Montana, 1925. I fratelli Phil e George Burbank mandano avanti insieme il ranch di famiglia. Ma quando il mite e dimesso George sposerà la giovane vedova Rose (che si porta appresso l’efebico figlio Peter e andrà a vivere insieme ai due), il rude Phil non accetterà mai il “tradimento” del fratello e la scomoda convivenza con la cognata…

Sono passati ormai ventotto anni da quando Jane Campion vinse la Palma d’oro a Cannes con Lezioni di Piano, il film che la rese celebre e che le spalancò le porte di Hollywood (poi richiusesi quasi subito, ma questa è un’altra storia…), e ne sono trascorsi ben dodici da Bright Star, il suo ultimo lungometraggio ufficiale: dodici anni scanditi da un po’ di televisione (con la serie Il mistero del lago) e svariate vicissitudini personali che, per fortuna, non ne hanno scalfito il talento e l’abilità dietro la macchina da presa: il suo nuovo film, Il potere del cane, è infatti tecnicamente accuratissimo: fotografia, scene, direzione artistica, costumi, montaggio, musica sono ancora impeccabili, e il tempo non ha cambiato nemmeno l’indole fiera, battagliera e femminista della regista neozelandese, da sempre schierata in prima linea in difesa dei diritti delle donne e delle loro rivendicazioni di genere. In questo, la scelta di tornare al cinema con la trasposizione filmica del romanzo omonimo di Thomas Savage (datato 1967) non poteva essere più coerente.

 

 

Siamo nel 1925, nell’inospitale e sterminato Montana, selvaggia terra di mandriani le cui distese brulle arrivano fino ai piedi delle Montagne Rocciose, in un confine mozzafiato tra cielo e terra (il titolo del film si riferisce proprio a una di queste rocce dalla forma particolare). In mezzo a queste praterie si trova il ranch della famiglia Burbank, gestito dai fratelli Phil (Benedict Cumberbatch) e George (Jesse Plemons), tanto legati tra loro quando caratterialmente agli antipodi: Phil è rude, capriccioso, diffidente, brutale. E’ lui il capo, il leader “macho” dell’insediamento, incontrastato e rispettato. George invece è dimesso, gentile, composto, totalmente sottomesso al fratello senza che la cosa sembri pesargli. Un giorno però accade il fatto che sconvolgerà le loro vite: George s’innamora di una giovane vedova, Rose (Kirsten Dunst), decidendo di sposarla e portarla con sè nella fattoria insieme a suo figlio Peter (Kodi Smith-McPhee), un adolescente sfuggente e effeminato. L’evento inatteso provocherà la dura reazione di Phil che arriverà a odiare Rose con tutte le sue forze, umiliandola in continuazione e violentandola psicologicamente fino a farla quasi impazzire…

 

Per non spoilerare e non togliervi il piacere della visione non vi dirò il motivo per cui Phil detesta tanto la cognata, dato che l’assunto del film si basa proprio su questa “rivelazione” che lo spettatore scoprirà a poco a poco, man mano che crescono il gelo e la guerra fredda tra i protagonisti. Vi basti sapere che la Campion smussa e semplifica molti aspetti del bellissimo libro di Savage, privilegiando per evidente scelta personale il punto di vista della derelitta Rose, una donna sola all’interno di un microcosmo ostile e maschilista (proprio come in Lezioni di piano) che verrà irrimediabilmente destabilizzato dalla sua presenza: Rose è una donna disperata, psicologicamente fragile, vittima designata di una società patriarcale e retrograda che stride ferocemente con l’immagine stereotipata di un’America patria del diritto e delle opportunità.

 

 

 

Il romanzo di Savage calca la mano soprattutto su questo aspetto (non certo secondario) della storia americana: una nazione nata con grandi ideali, alti e nobili, ma in realtà cresciuta nel segno della violenza e della sopraffazione (verso gli indiani, verso i neri, verso le donne, in generale verso i più deboli e derelitti), dove il Mito della Frontiera si scontra con imbarazzo con la polverosa realtà dell’epoca, quella degli sterminati spazi alle estremità di un paese senza ordine e senza legge, dove il Sogno Americano è mera utopia per chi non ha le stesse possibilità dei fortunati che vivono a ovest, nei grandi agglomerati urbani (lo stesso Phil, uomo intelligente e colto, è costretto a fare il mandriano perchè la sua terra non offre null’altro).

 

 

 

 

Di tutto questo però troverete ben poco nel film della Campion, che assume l’aspetto di un western femminista e moralista, esteticamente notevole e diretto con mano sicura (non a caso premiato con il Leone d’oro per la miglior regìa all’ultima Mostra di Venezia) che però a livello di contenuti non va oltre le pareti di casa Burbank e finisce per restare ingabbiato all’interno di una confezione lussuosa ma fredda, dove la tanta rabbia repressa dai personaggi (in particolar modo dall’oscuro Phil) solo in parte riesce ad “arrivare” al pubblico, a patto, infatti, che questo si lasci trasportare fino agli eventi finali, che prendono una piega assolutamente sorprendente. Ottime le prove dei tre attori principali, potenzialmente tutti in odore di Oscar: Cumberbatch dimostra coraggio nell’impersonare un ruolo negativo e indisponente. Jesse Plemons sa calarsi perfettamente nella mediocrità di George, l’unico che sembra non accorgersi di quello che sta accadendo dentro casa sua. Mentre l’ex “ragazzaccia” Kirsten Dunst, sopravvissuta a una vita esagerata e alle tante rehab in cui è stata rinchiusa, sfodera un’interpretazione così convincente che non la si vedeva dai tempi di Melancholia.

Recensione di S O L A R I S : il Blog per gli amanti del cinema

 

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