IL NOSTRO BISOGNO DI CONSOLAZIONE Stig Dagerman

IL NOSTRO BISOGNO DI CONSOLAZIONE, di Stig Dagerman (Iperborea)

Siamo animali dotati di ragione e sentimento ma è la nostra volontà e il potere di muoverci verso qualcosa che modifica davvero il nostro stato interiore.

Pensiamo attraverso l’intelletto, ci orientiamo attraverso le emozioni ma la forza motrice delle nostre azioni è l’appagamento di un bisogno, la motiv-azione, qualcosa che da senso al nostro agire, al nostro vivere.

Di fronte allo scaffale della libreria del centro città su cui era incastrato tra due grossi tomi questo piccolissimo libro, mi sono detta: un titolo così non può che appartenermi.

Sono ossessionata dai bisogni. Tutto dentro di me è una spinta continua, un tendere a qualcosa, a qualcuno.

Bisogno di acqua e pane, bisogno di parole, bisogno di contatto, bisogno di visioni, bisogno di idee, bisogno di novità e via così, all’infinito.

Poi arriva Stig Dagerman a dare parole ad un bisogno così impreciso, così lacerante, così oscuro, così esistenziale che rimango sconcertata nello scoprire che è un bisogno anche tutto mio, da sempre, da quando ero bambina e correvo lungo il corridoio ad infilarmi prepotentemente nel letto dei miei genitori:

“Ho paura”

“Di cosa?”

“Non so, sento solo che ho paura”.

Come non ho potuto dargli un nome prima?

Come non ho potuto comprendere che quello a cui aspirano i tormentati nello spirito, quegli esseri viventi che sono fatti nel nucleo della loro esistenza di un’indefinita inquietudine sia proprio un “bisogno di consolazione”?

Non ne abbiamo forse bisogno tutti?

Non è forse la condizione umana inquieta per natura?

Oh, si. Senza ombra di dubbio.

Può cambiare solo il grado delle nostre inquietudini, tra quelli che ne sentono appena l’eco in lontananza e quelli che gli rimbombano da dentro nell’anima costantemente, ma Dagerman è stato chiaro: non è sul “suo” bisogno di consolazione che ha redatto un testamento spirituale intimo, profondo, disperatamente speranzoso, ma sul “nostro” bisogno di consolazione.

Ed ecco che un piccolissimo trattato di appena 11 cartelle, apparentemente privato e personalissimo, diventa il manifesto esistenziale collettivo della solitudine disperata e della ricerca di senso dell’esistenza dell’uomo moderno, che oscilla tra il tendere verso l’aldilà come fine ultimo e, all’opposto, al tendere verso l’aldi-qua, verso la costruzione di una fede effimera per le cose visibili e tangibili, vagamente e fugacemente appaganti, prodotti dei nostri artefizi che ci siamo convinti nel tempo essere la sola ricchezza, frutto dei nostri risultati, delle nostre prestazioni.

E Dagerman lì a rifletterci su, fino a sanguinare, collocandosi ora nel mezzo, ora di lato, ora di sotto, ora di sopra, ora al confine, ora alla fine.

Le sue armi della consolazione più belle: le parole, il mare, gli animali e poi il silenzio.

Con esse si difenderà fino allo strenuo, finché la sua inquietudine diverrà assoluta e fagocitante.

Questo testamento non è per tutti, e non mi sento di consigliarlo a cuor leggero.

Occorre, prima di approcciarsi, che ciascuno sia in grado di misurare il peso della propria inquietudine, altrimenti del testamento di Dagerman si potrebbe fare indigestione.

Ed è troppo bello, troppo importante, troppo pregno per sprecarne la lettura.

Ogni frase va letta, pesata, compresa, collocata e filtrata con il proprio vissuto perché Dagerman di filtri non ne ha usati neppure uno.

È può inondare, assalire, distruggere, come accade a chi con le inquietudini straripanti ci vive o ci lavora e non sa come contenerle e arginarle, o può arricchire profondamente, se abbastanza solidi da accogliere la tempesta del vivere che Dagerman rappresenta in parole, perché pieno di verità esistenziali fatte di dubbio, incertezza, disperazione e aneliti di vana speranza, di apparenti consolazioni.

Scrive Dagerman: “L’unica cosa che mi importa è quella che non ottengo mai: l’assicurazione che le mie parole abbiano toccato il cuore del mondo”.

Il mio lo ha toccato il giovane, inquieto Stig Dargeman.

Ed è davvero consolante.

Recensione di Marta Onirici

IL NOSTRO BISOGNO DI CONSOLAZIONE Stig Dagerman

L’isola dei tesori, dove gli animali sono preziosi

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