IL MIO NOME È AOISE Marta Correggia

IL MIO NOME È AOISE, di Marta Correggia (Vanda Edizioni – luglio 2022)

 

Questo è un libro da leggere.

In primo luogo perché è ben scritto, poi perché la storia trascina e si lascia seguire fino al termine con passione e, infine (“ultimo ma non ultimo”), perché affronta un tema sociale che spesso si preferisce ignorare.

La realtà in cui è immersa la protagonista, la giovane nigeriana Aoise, è quella dello sfruttamento organizzato della prostituzione, che esiste – eccome!- in moltissimi luoghi del nostro paese, sfruttamento che a sua volta si serve di “manovalanza” il cui consenso il più delle volte è strappato con inganni e violenze.

L’autrice ci racconta che in certi contesti, spesso liquidati frettolosamente nel pensiero, il “mestiere più antico del mondo” diviene di fatto una forma di riduzione in schiavitù.

Tanto i corpi quanto le menti delle ragazze vengono manipolati al punto da tenerle in una soggezione tale da far loro subire le peggiori efferatezze pur di inseguire il sogno della libertà. Una libertà definitiva, priva di minacce per sé stesse e per i propri cari rimasti in Nigeria.

Aoise, giunta in Italia con la prospettiva di fare la parrucchiera, deve subito ricredersi: la sua vita sarà diversa, sarà costretta a diventare un’altra persona, a chiamarsi Erabon. Il romanzo ci fa entrare nella sua “casa”, ci fa vedere da vicino il terrore e le sofferenze, ci fa cadere e rialzarci con lei.

“Poi le consegnò un ombretto e un rossetto. <Domani quando arrivano i clienti ti devi truccare, lo sai fare?> Erabon non si era mai truccata, a casa aveva dipinto giusto qualche scatola di latta, ma annuì lo stesso. Aveva già capito che assentire era molto più semplice, evitava spiegazioni inutili.”

Ancora una volta il corpo delle donne è reso un oggetto scarno, un vuoto contenitore.

Noi “siamo” Aoise per tutte le pagine del libro, viviamo tra Castelvolturno e il villaggio nigeriano ove si snodano la sua infanzia e la sua adolescenza, in un continuo gioco di flash back tra il presente e il passato, tra degrado e bellezza assoluta.

La prosa è semplice e diretta ma ricca nello stesso tempo di suggestioni descrittive.

“I rifiuti avevano una certa personalità e un odore marcescente, come un’infezione non sanata che scavava la terra e si mischiava al profumo degli anemoni di mare, alla consistenza flaccida delle alghe, alla bellezza del legno eroso. Non si capiva più dove iniziava l’uno e finiva l’altro ed: l’immondizia si scioglieva nell’odore della salsedine e l’aroma delle acque s’insinuava nel tanfo del pattume cittadino.”

Insomma, una prova di esordio di assoluto valore.

“Non è mia amica>, sottolineò come se importasse qualcosa, < e poi, non mi chiamo Erabon, mi chiamo Aoise>, lo bisbigliò come fosse un segreto.”

Recensione di Elisa Tomassi

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