LA BELLA CONFUSIONE Francesco Piccolo

LA BELLA CONFUSIONE, di Francesco Piccolo (Einaudi – febbraio 2023)

Verrebbe voglia di lasciarlo così questo libro, di non riporlo mai in uno scaffale. Con una copertina come questa…

È il diario di una stagione magica. Un viaggio nel tempo, verso un momento preciso, irripetibile, della storia del cinema. Probabilmente la sua vetta assoluta. Oltrepassata quella vetta, non potrà che esserci una discesa.

L’anno è il 1962. In quei mesi, si girano in contemporanea due film fra i più importanti di tutti i tempi, non solo nel panorama del cinema italiano. “Otto e mezzo” di Federico Fellini e “Il Gattopardo” di Luchino Visconti.

Due film apparentemente molto diversi, ma che si riveleranno molto più simili di quanto si potrebbe pensare.

Anche i due registi sono molto distanti fra loro. Da anni il loro rapporto si è ridotto a un glaciale silenzio, precisamente dalla premiazione alla serata finale del Festival del Cinema di Venezia del 1954. Fellini è in gara con “La strada”, Visconti con “Rocco e i suoi fratelli”.

Da quella serata – e dai tafferugli che si scateneranno in platea – i due futuri Mostri Sacri del cinema italiano e internazionale, faranno di tutto per evitarsi, anche se incredibilmente continueranno a fare uscire i loro film in contemporanea, per molti anni, partecipando persino agli stessi Festival.

Francesco Piccolo raccoglie testi e testimonianze dell’epoca, setaccia i diari di produzione, studia le date e le coincidenze, per restituirci il clima di quei giorni, quando Fellini è nel suo studio 5 di Cinecittà a pensare al film che dovrà fare (un film su un regista che non sa quale film fare) e Visconti è a Palermo, fra costumi d’epoca e palazzi nobiliari, a ricostruire lo scenario di fine ‘800.

I personaggi di questa storia sono nomi del calibro di Ennio Flaiano, Suso Cecchi D’Amico, Nino Rota (che firmerà le musiche di entrambi i film), Angelo Rizzoli, Goffredo Lombardo, Sandra Milo, Leonardo Sciascia, Pier Paolo Pasolini, Guido Aristarco, Giulietta Masina, Alain Delon, Marcello Mastroianni, Burt Lancaster, Claudia Cardinale (che farà avanti e indietro fra Palermo e Roma per girare contemporaneamente i due film) e moltissimi altri, indimenticabili nomi del cinema e della cultura italiana di quegli anni. A un certo punto fa capolino Alberto Sordi, impegnato in quei giorni a Palermo con le riprese di “Mafioso” di Alberto Lattuada.

“La bella confusione” è uno dei titoli che Fellini aveva pensato di dare al suo “Otto e mezzo”. La bella confusione è quella che, nel corso delle riprese, interviene per cambiare radicalmente il senso profondo di entrambi i film, riscrivendo per sempre la storia del cinema.

Due film in divenire, due diversi modi di pensare il cinema, di viverlo, di realizzarlo. Due opere che sembrano non poter essere più diverse: più introspettivo e filosofico il film di Fellini, una ricerca interiore e una riflessione sulla vita, sull’amore, sul cinema; carico di ideologia – e di strascichi di polemiche circa il romanzo -, quindi decisamente politico, il progetto che viene affidato a Visconti (al ruolo del Partito Comunista e della critica del tempo, al loro peso nei dibattiti internazionali successivi alla pubblicazione e al successo del libro di Tomasi di Lampedusa sono dedicate intere, bellissime pagine).

Eppure, i due film via via finiscono per assomigliarsi sempre di più, perché assumeranno un significato preciso nella vita e nella carriera di ambedue, tanto da influenzare i film che ciascuno di loro realizzerà in seguito.

Grande merito di Francesco Piccolo è restituirci la forza vitale di quei giorni, la “vitalità” (parola che ricorre spesso nel libro) che sostiene i due progetti, il superamento degli imprevisti, le modifiche, le cancellazioni, la riscrittura dei rispettivi finali.

“La vita è una festa”.

Non c’è retorica nelle pagine de “La bella confusione”. Non c’è la nostalgia per via Veneto e per la Roma della ‘dolce vita’. C’è piuttosto la fascinazione dello spettatore/lettore che si imbatte in un libro (successivamente film) come “il Gattopardo” e in una pellicola come “Otto e mezzo” e ne trae insegnamenti che oggi, a distanza di sessant’anni dalla loro realizzazione, continuano a essere validi, attuali.

Ho letto di recente, in un breve saggio di McEwan, che lo scrittore inglese si dice ossessionato da una espressione in cui si è imbattuto anni addietro. L’espressione è “stupore deliberato”. Lo stupore deliberato, una forma “vagamente ossimorica” è “una condizione che va cercata, una sospensione, uno stato di fiduciosa speranza riguardo a ciò che può venirci in soccorso in solitudine, alla possibile fecondità di una buona idea, o di ciò che a tutta prima sembra esserlo”.

Anche io, come McEwan, non smetto di pensarci, allo stupore deliberato. È la condizione di chi, di fronte a un’opera, una scena di un film, una pagina di un libro, accoglie la potenza di una espressione artistica con un entusiasmo a cui era in qualche modo preparato. O almeno, io la interpreto così. È così, con questa predisposizione, che il giovane Francesco Piccolo, dopo pranzo e prima dei compiti, accoglie la visione di “Otto e mezzo”, che ripeterà nei giorni a venire, per mesi, diverse volte alla settimana. “Ero stato sedotto per sempre dalla prima persona singolare, dal raccontare di sé, dal garbuglio di vita reale, sognata, immaginata, desiderata; dalla capacità di raccontarsi come essere umano indeciso, confuso, incapace di decisioni e cambiamenti”.

Ci sono pagine indimenticabili, in questo viaggio di Francesco Piccolo. Appassionante come un romanzo, ci fa rimbalzare continuamente da un set all’altro, rendendoci partecipe delle perplessità, delle difficoltà, dei dubbi di questi due giganti del Novecento (Fellini stava scrivendo una lettera per annunciare al produttore Rizzoli che avrebbe pagato le penali e accantonato il film, ma fu fermato all’ultimo istante; Visconti nutriva delle perplessità nei confronti di Burt Lancaster, ritenendolo un “cowboy” inadatto a interpretare un nobile siciliano. Proprio alla metamorfosi del personaggio di Lancaster/Principe di Salina è dedicata una delle più belle pagine del libro).

Soprattutto, questo libro esplora a fondo quale sia il “senso” di questi due film, se non in generale il modo di interpretare il cinema, ammesso che ne esista uno e uno soltanto.

Si riavvicineranno, Visconti e Fellini. Anni dopo, grazie all’iniziativa di Giulietta Masina, accorceranno notevolmente – ma non troppo – quella distanza che per oltre un decennio li ha tenuti separati, come due bulbi di una clessidra. Lontani sì, ma uniti da una e una sola cosa: il loro lavoro, i loro film.

Mi piace pensare che il seme di quello che, negli ultimi anni delle loro vite, loro stessi non si sono risparmiati nel definire affetto e stima reciproca, sia stato piantato a loro insaputa proprio in quei giorni del 1962.

Chissà, forse a uno di loro due, quel seme sarà caduto dalla tasca.

Recensione di Valerio Scarcia

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