I FIGLI DEL TEMPO di Adrian Tchaikovsky

I FIGLI DEL TEMPO, di Adrian Tchaikovsky (Fanucci Editore)

Miglior romanzo di fantascienza nel 2016, ma per quanto mi riguarda questo è un romanzo senza età, potenzialmente il migliore al di là del genere e al di là dell’anno di pubblicazione.

Inizialmente la lettura mi è stata piuttosto faticosa: non sono una lettrice esperta di questo genere e la poca dimestichezza mi ha rallentata nella comprensione del testo ma soprattutto dei dialoghi.

 

Più volte nel corso della prima metà del libro mi sono chiesta cosa diavolo stavo leggendo. Cosa diavolo avevo per le mani? Ma, esattamente come mi è capitato per un testo che nulla ha in comune con questo (La casa del tempo sospeso), avevo la necessità di proseguire. E ho fatto bene.

Un romanzo corale che si dirama addirittura per MILLENNI, pur partendo già dal futuro.

Un futuro distopico nel quale l’essere umano ha dato il peggio di sé distruggendo sé stesso e il pianeta. Siamo già oltre la distruzione, siamo già con la dottoressa Avrana Kern in cerca non di una soluzione ma di un nuovo inizio perché da salvare non resta più nulla.

Stelle e scimmie sono la nuova speranza non dell’umanità ma della vita senziente in generale.

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Ma qualcosa va storto. Anzi, va tutto storto. Tutto tranne il pianeta, quello nuovo, quello verde. Tanto artificiale quanto splendido ed efficiente. Niente scimmie, quelle bruciano. Ma Avrana Kern spera che qualcosa di vivo si sviluppi nel pianeta. Poi c’è il nanovirus, no? Quindi Avrana si addormenta per secoli in orbita in attesa che succeda qualcosa. Si addentra nel sonno freddo in attesa di un contatto.

Nei secoli qualcosa in effetti accade. In fretta, grazie al nanovirus, ma in modo inatteso. E nello spazio qualcos’altro vaga, una nave arca piena di un carico umano che dorme lo stesso sonno di Avrana, anch’esso in attesa che accada qualcosa.

Personaggi che vivono a intervalli irregolari, che convivono per mesi o anni sparsi a macchia di leopardo per millenni, accomunati dal bisogno di sopravvivere prima e proliferare poi. Un romanzo densissimo, scritto magistralmente, complesso e prolisso solo a tratti.

 

Un libro che per significato e importanza potrei affiancare a Cecità, L’ombra dello scorpione, Il signore delle mosche.

E la sconvolgente capacità dell’autore di immaginare l’inimmaginabile è toccante, precisa, tanto validamente sostenuta da risultare in tutto e per tutto credibile. Ammiro l’immensa abilità degli autori che riescono a manipolare il pensiero, a riscrivere il progresso e a immaginare alternative così estremamente diverse dalla realtà eppure così ben studiate da risultare inattaccabili. Riuscite voi a sostenere l’idea di una tecnologia non basata sul l’elettricità? O un linguaggio non basato sul suono? E se si… Potete immaginare la nascita e l’evoluzione di un pianeta basato su queste assenze e su queste basi?

Non ho molto altro da dire:ogni volta che un romanzo squarcia il guscio dell’umanità per mostrarcene non solo il potenziale distruttivo ma anche la cocciuta fragilità e l’immenso egocentrismo si resta disorientati. Non siamo programmati per guardarci dentro con tanta lucidità senza restarne disturbati.

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