GLI INTRAMONTABILI: LOLITA Vladimir Nabokov

GLI INTRAMONTABILI: LOLITA, di Vladimir Nabokov
Lolita
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“Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lo-li-ta: la punta della lingua compie un percorso di tre passi sul palato per battere al terzo, contro i denti. LO.LI.TA.”

Ho affrontato Lolita con due grandi pregiudizi…diametralmente opposti.

Quello alimentato dalle voci sul film tratto dal libro, la storia pruriginosa di un enfant fatale, una ragazzina provocante e spregiudicata e quello che mi ero fatta leggendo il libro di Azar Nafisi, Leggere Lolita a Teheran, ossia la vicenda di un mostro dispotico che ha rubato l’innocenza e la vita ad una bimba, privandola di tutti i suoi affetti, della sua libertà, facendole terra bruciata intorno, per averla tutta per sé e soddisfare le sue manie perverse.

E allora mi sono detta: “Dove sta la verità? Possono esserci due interpretazioni così diverse di uno stesso romanzo?”

Sì, è possibile, ma è possibile solo se dietro ad una scrittura così sublime, così raffinata, così elegante, c’è la mano di un grande genio. Nabokov è assolutamente e innegabilmente uno scrittore eccelso!

 

 

Ha reso confessabile ciò che è inconfessabile.

Lolita è quindi tutte e due le cose, e nessuna.

Lolita è “un’adolescente precoce, che, anche per i suoi atteggiamenti maliziosi, già suscita desideri sessuali, specialmente in uomini maturi”, questo è riportato alla voce “Lolita” nell’enciclopedia Treccani.

Ma è anche Humbert, un uomo di circa 40 anni, rimasto imprigionato in un amore infantile, l’amore per Annabel, un amore vibrante ma mai consumato, un amore rimasto fermo, bloccato, congelato a quando era ragazzino, perché il suo amore gli è stato portato via da una malattia.

Humbert è stato perseguitato dalla piccola Annabel per ben 24 anni, fino a quando l’ha rivista in Lolita, l’ha reincarnata in Lolita, che è diventata la sua passione, la sua ossessione, la sua perversione.

 

 

…”senza il minimo preavviso, un’azzurra onda marina si gonfiò sotto il mio cuore, e su una stuoia immersa in una polla di sole, seminuda, sdraiata, e poi in ginocchio, e poi voltata sulle ginocchia, ecco la mia innamorata della Costa Azzurra che mi squadrava al di sopra degli occhiali scuri. Era la stessa bambina – le stesse spalle fragili e sfumate di miele, la stessa schiena nuda, serica e flessuosa, gli stessi capelli castani”

E allora solo la genialità di Nabokov ha potuto darmi queste due visioni, ora una ora l’altra, senza mai puntare il dito né sulla ninfetta Lolita né sul depravato Humbert. Nabokov ha lasciato a me il compito di giudicarli.

E io sono riuscita a farlo?

Non saprei, non fino in fondo.

Sono stata sul punto di condannare Lolita nella prima parte della storia.

Una bimba alle soglie della pre-adolescenza, una bimba ribelle, a cui piace scherzare col fuoco soprattutto perché inconsapevole della propria sensualità. Una ragazzina alle prese con le sue prime pulsioni. Lolita è capricciosa, impertinente, sfacciata ma anche ingenua, indifesa e assolutamente buona.

Ma dall’altra parte c’è un uomo maturo, che ha per anni soffocato un istinto “malato” e che incontrando Lolita non ha più saputo tenere a freno. Lolita ha distrutto i suoi argini e Humbert, come un fiume in piena, l’ha travolta, l’ha spezzata.

 

 

“Lui mi ha spezzato il cuore. Tu hai soltanto spezzato la mia vita”

Non sono riuscita ad odiare fino in fondo questo uomo ossessionato, una persona sicuramente malata, spaccata in due da un amore vero e sublime e da una passione folle, malata, incontrollabile, innominabile; un desiderio che lo ha accecato, una fatale lussuria che ha sconfinato in una folle tentazione intollerabile.

“Io ero sprofondato nel mio paradiso d’elezione – un paradiso i cui cieli avevano il colore delle fiamme dell’inferno, ma pur sempre un paradiso.”

E non sono riuscita a giudicare Lolita, una bimba prima, ragazzina poi e donna alla fine, che è stata capace di frantumare la gabbia in cui era stata rinchiusa, ma che ha vissuto costantemente in una terribile solitudine.

“era solo un insieme di cartine con le orecchie, guide squinternate, pneumatici consunti e i suoi singhiozzi nella notte – ogni notte, ogni notte – non appena fingevo il sonno”

Solo alla fine della lettura, informandomi qua e là sul libro e sull’autore, scopro che Nabokov scrivendolo direttamente in inglese e non nella sua lingua madre il russo, ha voluto semplicemente fare un esercizio di stile.

 

 

E ci è riuscito in maniera ineccepibile. Non scade mai in volgarità, non mostra, non ostenta, non trascende, ma allude, tratteggia, abbozza, in un sapiente gioco di “vedo non vedo” reso però con la scrittura, lenta, carica, descrittiva, incisiva e indimenticabile.

Non c’è nessun significato occulto dietro questa storia, non c’è nessun tentativo di fare la morale…quello che è la forza e la potenza di Lolita è che inevitabilmente ci spinge oltre i nostri limiti, ci fa vedere le cose sotto più di una luce, ci fa porre domande, ci fa cambiare idea, ci aiuta a costruire nuove consapevolezze, ci mette di fronte a verità e situazioni scomode e scandalose…ma spesso “scandaloso” è solo sinonimo di “insolito”.

“Ero ignobile e brutale e turpido e tutto quello che vuoi, mais je t’aimais, je t’aimais! E c’erano momenti in cui sapevo come ti sentivi, e saperlo era l’inferno, piccola mia. Bambina Lolita, coraggiosa Dolly Shiller”

Buona lettura!

 

Recensione Cristina Costa

LOLITA Vladimir Nabokov

 

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