SE FOSSE TUO FIGLIO, di Niccolò Govoni
Recensione 1
Ho conosciuto questo scrittore un po’ per caso leggendo, nell’ambito del mio filone distopico, il suo libro Fortuna, che mi è molto piaciuto ma che soprattutto mi ha coinvolto nelle esperienze di questo giovane uomo, così determinato a lavorare duramente per garantire a bambini toccati dalla guerra e dalla migrazione un futuro migliore, mettendo in piedi una sua associazione Still i Rise, che si è data l’obbiettivo di aprire scuole in tutto il mondo per bambini profughi e vulnerabili, sperimentando un metodo di insegnamento democratico e coinvolgente. E così ho deciso di dedicare le mie letture prima del Natale ad altri suoi libri, cominciando da questo romanzo di vita vissuta: Se fosse tuo figlio nasce infatti dall’esperienza di Nicolò come volontario nell’hotspot di Samos, un luogo simile all’inferno in cui i profughi vivono ammassati in tende senza acqua né luce, in mezzo a cumuli di immondizie.
Qui viene a contatto con tutto un mondo infantile, che gli orrori vissuti e l’incertezza e le ingiustizie che continuano anche dentro il campo profughi rischiano di segnare per tutta la vita in maniera irrecuperabile. E così l’incontro con Hammudi, giovane dodicenne siriano, ma anche con Soran, con la piccola Mays e con tanti altri, fa scattare in Nicolò un sentimento di protezione ed affetto che lo spinge a mettere in piedi una scuola vera, un posto dove i bambini possano sentirsi al sicuro, un’esperienza coraggiosa e piena di speranza, per essere per loro quello che la sua insegnante Nicoletta è stata per lui, giovane adolescente in crisi, convincendolo di non essere “perso ma in cerca” : “La classe si rivela più impegnativa di quanto avessi mai potuto immaginare. I bambini soffrono di traumi profondissimi, aggravati dalle condizioni dell’hotspot ….. nonostante la tristezza e la rabbia che si portano dentro, so che l’istruzione può cambiare il corso della loro vita”.
Il libro è anche un atto di denuncia su come vengono trattati i migranti all’interno dell’hotspot dove non viene loro garantita una giusta accoglienza e sul ruolo svolto dagli Stati e dalle organizzazioni che lavorano all’interno dei campi, che spesso non riescono ad assicurare, in modo particolare ai bambini, la necessaria sicurezza ed il rispetto e l’amore che deve essere garantito ad ogni essere umano. Per questo l’autore ha passato anche qualche guaio ma ha continuato il suo lavoro in maniera coraggiosa. Nicolò vuole ricordare a tutti noi, suoi lettori, che la vita e la sua forza sono sempre qui davanti a nostri occhi, dobbiamo solo ricordarcene, che vivere è un impegno continuo, che tutto il possibile va fatto per strappare un sorriso ad un bambino che soffre e piange.
Il bellissimo titolo del libro deriva da una poesia di Sergio Guttilla che così inizia e recita:“ Se fosse tuo figlio riempiresti il mare di navi di qualsiasi bandiera. Vorresti che tutte insieme a milioni facessero da ponte per farlo passare……….. Ma stai tranquillo, nella tua tiepida casa, non è tuo figlio, non è tuo figlio…… E solo un figlio dell’umanità perduta, dell’umanità sporca, che non fa rumore. Non è tuo figlio, non è tuo figlio. Dormi tranquillo, certamente non è il tuo”.
Recensione di Ale Fortebraccio
Recensione 2
Lui è un giovane. Ma no, non è uno di quei giovani spensierati che a venti anni pensano, spesso, solo a divertirsi, no. Lui non spende i soldi della “paghetta” per andare in giro con amici o fidanzatine. Lui a vent’anni ha venduto quei pochi averi per pagarsi un viaggio in India e mettersi a disposizione degli altri, dei più deboli, dei bambini.
E nel poco tempo libero si è anche laureato in giornalismo.
Lui è Nicolò Govoni. Ora ha 27 anni ed è candidato al premio Nobel per la pace.
Per molti il motivo scatenante fu Alan Kurdi, il bambino a faccia in giù sulla spiaggia. Per Nicolò, come lui stesso ha scritto nel libro, fu il vuoto negli occhi di Omran Daqneesh, il bambino dell’ambulanza. In quel periodo era volontario in un orfanotrofio in India, e un giorno, dopo un bombardamento, vide un soccorritore estrarre un bambino di 5 anni dalle macerie di un edificio. Il volto coperto di sangue. Lo osservò, poi, immobile, solo, su quel sedile arancione di quell’ambulanza, guardare intorno senza emettere alcun suono, senza piangere. D’improvviso Omran lanciò uno sguardo verso la telecamera di Nicolò e incontrò i suoi occhi. “Eccolo il vuoto”!
Quegli occhi e quel vuoto si conficcarono nel profondo della sua anima e rivelarono a Nicolò una verità agghiacciante: nel mondo milioni di bambini soffrono le pene dell’inferno senza alcun sostegno, senza una mano amica, da soli. Quegli occhi, quello sguardo, quel vuoto, sarà la motivazione più forte per lui. Aveva capito il vero scopo della sua vita: aiutare quanti più bambini possibile al mondo. In quei 4 anni vissuti in India pensava di aver visto il meglio e il peggio dell’umanità ma si sbagliava.
A Samos, in Grecia, incontra migliaia di “bambini nell’ambulanza” con il vuoto negli occhi e nel cuore. Lì, si ritrova a portare conforto a chi ha assistito a omicidi, bombardamenti e stupri. Fuggiti dalla loro terra per finire intrappolati lì, in quell’inferno. In quel campo profughi dove vengono trattati come bestie: filo spinato a marcare i confini di uno spazio destinato a poche persone e invece ci si ritrovano famiglie confinate ed ammassate in tende da campeggio.
Lui, Nicolò, resta a dare conforto a quei bambini nonostante la fondazione che lo aveva accolto sia andata via. Lui non lascia i suoi bambini: resta lì, a cercare di dare loro delle basi per far sì che possano costruirsi, un giorno, un futuro migliore. Insieme ad altri volontari decide di insegnare, di creare delle classi per far stare quei bimbi qualche ora lontano da quell’inferno e insegnare loro qualcosa.
Nicolò è anche bravo a scrivere e questo fu chiaro sin da subito a Nicoletta, la sua professoressa che, mentre tutti gli altri insegnanti lo ritenevano un caso irrecuperabile, gli dà fiducia. Così Nicolò comincia a scrivere, e con il ricavato della vendita dei suoi libri, poi, costruisce una scuola in Turchia per i bambini meno fortunati.
“Se fosse tuo figlio” che si apre con la meravigliosa nonché struggente poesia di Sergio Guttilla, è un concentrato di cruda e terribile verità, ma anche di grande amore verso quei bambini e verso uno in particolare che sarà il suo motivo di riscatto. Hammudi, questo è il nome del bambino. Siriano, presente al Massacro di Ramadan a Damasco e salvo grazie al padre che gli fa da scudo con il suo corpo, Hammudi ha come ultimo ricordo del padre il lago del suo sangue che gli impregna la schiena e il suo fiato caldo dietro l’orecchio.
Scappato dalla sua terra con la madre fino in Turchia, prosegue senza di lei verso l’Europa per cercare di avere un futuro migliore. Lì, nell’hotspot, lo nota Nicolò durante la distribuzione di vestiti e da allora tra loro si stabilisce un legame magico che si rafforza quando Hammudi gli dice: “quando sono grande voglio diventare come te”. Il cuore di Nicolò si gonfia come una mongolfiera perché capisce che è sulla buona strada e che è proprio vero quello che ha imparato: “la vita è come un dono che noi stessi facciamo agli altri. Se credi nel buono che è in lui, qualsiasi bambino torna a fiorire”.
Nicolò ora si trova in Kenya dove grazie alla sua organizzazione STILL I RISE, dopo l’autoquarantena, darà ufficialmente il via alla sua prima missione in Africa. Aprirà la prima Scuola Internazionale per bambini profughi e svantaggiati nel continente africano.
Recensione di Rossana Germani
SE FOSSE TUO FIGLIO Niccolò Govoni
Commenta per primo