PREMIO PULITZER 2019: IL SUSSURRO DEL MONDO Richard Powers

PREMIO PULITZER 2019: IL SUSSURRO DEL MONDO, di Richard Powers (La nave di Teseo)

Sin dal principio, e nelle Sacre Scritture, il giardino dell’Eden era la terra in cui gli alberi rigogliosi producevano i loro invitanti frutti.

Generoso quel Paradiso Terrestre, dove il buon Dio ne creò l’uomo e ne diede loro dimora.

A loro l’Onnipotente, fece dono di quel luogo meraviglioso, e di tutti gli animali e le piante che lo popolavano, perché godessero dei loro frutti e vivessero in assoluta felicità.

Mai quegli alberi, avrebbero creduto così sciocco l’uomo, da infrangere le leggi del Creatore.

Leggi che hanno governato già prima della sua esistenza, leggi che, prima di ogni uomo, quelle piante hanno rispettato. Forse perché creature superiori. Forse perché esse stesse appartenenti ad una forma di vita più intelligente?

Forse perché esse sono lì ad occupare quella terra da molto tempo prima dell’uomo.

Disinteressate a prodigarsi nel produrre quelle sostanze che da sempre necessitano gli esseri di quella stessa terra, sostanza che si propaga nei suoi polmoni e che entra nella sua linfa vitale, il suo sangue.

È strano pensare quanto queste piante siano intime per l’uomo, più di qualsiasi altra cosa terrena. Più di quanto egli stesso, possa adoperarsi per la propria sopravvivenza.

Purtroppo però, egli non è capace di percepire quanto la sua materia fosse debole e presuntuosa, tanto da ricadere e ribadire nuovamente, la sua inevitabile e predominante indole di peccatore.

Scarsa è la considerazione in cui teniamo alla vita vegetale, tanto da farlo trapelare nel nostro pur limitato linguaggio, come quando insultiamo qualcuno dicendogli che è un vegetale.

Ignorando quando questo presupposto, costituisca il 99 per cento della biomassa terrestre, e quanto la nostra vita dipende totalmente da quelle piante, e che queste non sono del tutto passive, così come siamo abituati a credere.

Ci sono suoni, ci sono luci, distanze e profondità che l’essere umano non è in grado né di raggiungere e né percepire. Ci sono fenomeni, ed eventi, che la natura rivela senza che l’essere umano abbia la possibilità di avvertire.

Tanti i misteri di quelle piante, di quegli alberi che affondano le loro radici nei terreni più impervi, riuscendo comunque a trarne sostentamento.

Tante le condizioni avversa che esse riescono a sopportare, come le diverse stagioni che ogni anno affrontano nella loro immobile presenza.

Interminabili i segnali che la natura manda e che l’uomo considera segreti, solo perché incapace di codificarli.

Contrariamente a tutto ciò, Richard Powers, autore di grandi vedute e dalla smisurata sensibilità, dimostra con questa sua opera, che non tutti gli esseri umani sono incapaci.

Nove le anime, sapientemente raccontate nel romanzo, sapranno integrarsi con il mondo vegetale; comprendere, condividere paure e sentimenti, affondare le loro radici nello stesso terreno di una Abete del Colorado, di un Gelso, di un Castagno, di un Acero, di un Sicomoro o di un Pino giallo.

Ma a pensare che in questo libro i protagonisti siano gli alberi, si commette sicuramente un errore.

Come il tempo ci dimostra, è l’uomo che da sempre cerca di essere il protagonista di ogni storia, e in quest’opera gli alberi sono solo le vittime di una cultura incapace di andare oltre la dimensione umana, contro le proprie percezioni.

Soggetti di una guerra che ne fa del consumismo la propria arma di distruzione. Generando e concependo desertificazione e disboscamento.

Immersi nel frastuono di una cultura che ci impedisce di intercettare ogni segnale, anche se questo risulta essere rigorosamente evidente.

Accecati da un’economia che oscura ogni pensiero razionale, infrangendo non solo i diritti degli uomini, ma anche quei principi che il mondo vegetale non ha modo di custodire e preservare. Esso non ha diritti giuridici, non può difendersi e può solo subire l’irrazionalità di un mondo crudele.

È assurdo non considerare quello che è stato il prodotto di una natura che ha avuto origine già quattro miliardi di anni addietro.

Forse perché il progenitore della razza animale non è stato progettato per assistere ai lenti cambiamenti, quelli che solo un albero millenario percepisce e trascrive nella memoria circolare del proprio flusso linfatico, dove il passato si trova al centro e il presente nei suoi cerchi più esterni. L’uomo è concepito per la immediatezza dei fenomeni, brevi momenti che sono alla portata del suo istantaneo processo vitale.

Esso vive in una grandezza dissomigliante, parallelismo che mai si incontrerà ma che spesso sfiorerà ogni sua percezione rimanendo sempre nella sua dimensione limitata.

È questa la vita che quei cerchi racchiudono, realtà di nove personaggi diversi con differenti estrazioni sociali e provenienze.

Storie di vite vissute con i suoi ricordi, marcati ognuna tra i cerchi concentrici dei loro coinquilini vegetali. Realtà pronte per essere abbattute da quella medesima istituzione che metterà in moto i mostri che distruggeranno quelle stesse piante.

Piante pronte a germogliare e ramificare, generare nuove foglie e nuovi frutti, nuove vite e nove storie, nutrendosi dei veleni di un mondo malato, e nella loro immobile silenziosità, sapranno trasformare tutto ciò, in un respiro nuovamente puro.

Perché quel delicato sussurro tra le foglie non è altro che un dono. Omaggio per gli esseri capaci di cogliere quell’alito che ci dà la vita. Vita legata inseparabilmente allo stesso mondo, vita che ignora quanto essa è geneticamente simile a quel pigmento di clorofilla; realtà che si lega all’emoglobina in quella stessa convivenza terrena.

Le nuvole si diradano e il vento si porta via con sé le piogge e le lacrime di quegli istanti che vede uomini e donne combattere per una giusta causa, ragione di vita che li ha visti soffrire, piangere e morire in una esistenza breve e passeggera, sepolta ognuna all’ombra del proprio albero. È questo il destino dell’uomo, che torna alla terra come semi sterili e che non darà più frutti, in un mondo che non gli appartiene, e che contrariamente, illudendosi, ha sempre creduto suo.

Protagonista indiscusso di un pianeta popolato da diverse specie, accomunate per una buona parte, dello stesso materiale genetico che una pianta possiede, e che da un miliardo e mezzo di anni or sono, ha deciso di percorrere una strada separata.

Illimitata è l’armonia che regna nei boschi popolati dalle diverse specie, funghi, felci e licheni. Insetti, ragni, uccelli che collaborano insieme ad una simbiosi universale, sinfonia di accordi che accomuna ogni essere vivente sia esso vegetale o facente parte del regno animale.

Opera divina in cui il dubbio nasce spontaneo, chiedendosi continuamente quale il ruolo dell’essere supremo, l’uomo sapiens, creatura che vede con i suoi occhi e che si esprime con il suo linguaggio; si muove percorrendo ampie distanze e che dimentica ogni drammatico avvenimento.

Quale il suo ruolo in questo grande progetto naturale?

Storia che riporta le ferite come un messaggio inciso sulla corteccia di una Betulla, lasciando l’impronta di un mistero che resta silente, ma che pur germoglia dall’amore che il suo seme trova quando cerca il sollievo della sua generosa terra.

Tante le citazioni e i rimandi ad opere memorabili come Le Metamorfosi di Ovidio e l’abbraccio fondamentale con il pensiero di Henry David Thoreau, dove la natura resta non un semplice strumento per il raggiungimento di conoscenze ideali di ordine superiore, bensì oggetto ultimo della pratica filosofica, fonte di benessere e soluzione esistenziale.

Ma tutto questo l’uomo, forse lo ignora?

Buona lettura

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