OTELLO, di William Shakespeare (Feltrinelli)
Il femminicidio raccontato da Shakespeare. L’amore cieco e barbaro. Le due facce del male: Iago e Otello. Il manipolatore e il manipolato in un mondo dove il potere uccide violentemente la donna. Un male ancora terribilmente presente perché radicato nel cuore dell’uomo da tempi remoti. Il progredire umano non si compie se i sentimenti non riposano sul rispetto reciproco.
Confrontarsi con le tragedie shakespeariane implica un’attenta lettura del testo e una profonda analisi di ogni segmento linguistico che porta in sé il messaggio universale del valore semantico della parola. Inoltre richiede un esercizio di lettura e di immersione in quelli che erano gli strumenti linguistici dell’epoca, senza dimenticare il contesto socio-politico e il pensiero filosofico di un mondo sospeso fra il vecchio e il nuovo.
Con l’Otello, oggi noi non faremo questo. Sono anni che il nome di Desdemona mi chiama. Sento la sua voce all’inizio dolce e pacata. Poi, lentamente si trasforma, diventa un urlo. Un grido disperato di aiuto. Un tentativo abortito nel nascere. Una richiesta disperata di ascolto. “Soffoco” sembra mormorare. Ma poi si ferma lì.
“Ferite a morte” è un progetto di scrittura teatrale che Serena Dandini ha avviato qualche anno fa e che continua ad ampliarsi, raccogliendo sempre nuove voci nell’intento di raccontare il femminicidio con le parole delle vittime. La storia del proprio morire, la versione intima di chi non può più parlare diventa così un urlo collettivo di miriadi di donne che non hanno più limiti spazio-temporali, dopo la morte violenta impartita da mano maschile. Ecco che, fra queste donne, sento l’urlo antico di Desdemona, donna cortese, gentile, libera. Che per amore scelse di disubbidire alle leggi patriarcali. Che sentendosi libera come le acque della sua città, seguì il proprio cuore e decise di sposarsi con il Moro, il generale dell’esercito veneziano. Senza alcun pregiudizio nei confronti del colore della sua pelle, della diversità delle proprie radici, spinta da un sentimento puro, autentico, genuino.
William Shakespeare, raccontandoci questa tragedia, rappresenta il femminicidio. Lo mette in scena in tutta la sua brutalità, macchinazione, lugubre elaborazione. Il delitto ordito senza che la vittima possa dimostrare la propria innocenza. Costretta in quell’unico destino scritto nel suo nome: Desdemona. Nome coniato da Shakespeare, sulle orme dello scrittore Giambattista Giraldi Cinzio, secondo il quale, Disdemona, deriva dal greco antico e significa “dal destino avverso”, “disgraziata”, “sfortunata”, “nata sotto una cattiva stella”.
Otello è un personaggio complesso. Buono. Ma contenente in sé i germi del male. Incapace di estirparli con la gramigna che sempre cresce accanto all’erba sana. Nero, inadeguato, totalmente disadattato davanti all’universo mondo donna. Cos’è la donna? Non può essere pensante. Non può essere libera. È un essere inferiore, ausilio maschile. O moglie o schiava o puttana. La picchia davanti a tutti. Una donna? Cos’è? Un oggetto. Come il fazzoletto che viene usato come la prova vincente. Ci se ne appropria per poi disfarcene quando non serve più.
Desdemona, non ha più nessuno che possa difenderla, se non la sua serva, moglie di Iago, la saggia Emilia, che tardi capisce il disegno del perfido marito. L’origine della tragedia in fondo è lei. È lei che, ignara, consegna il fazzoletto a Iago, lasciando che lui così lo macchi di tradimento. La donna è per l’eroe tragico risposta ai suoi loschi desideri di lussuria e potere. Altro non è. Non può essere. E allora deve scomparire. Deve morire. Ma lo fa in musica Emilia: «Farò come il cigno / e morirò in musica. (canta) “Salice, salice, / salice”. Lei era casta, Moro. / lei ti amava, Moro crudele. / Vada la mia anima in cielo / se dico / la verità. E dicendo quello che penso / io muoio, muoio.» (Atto V, 2, p 263) Il canto nella morte, la innalza in altre sfere, laddove l’arte respira e la grazia e la gentilezza d’animo danzano la vita. Un’altra vita. Dove si muovono leggere le anime perse delle donne uccise dall’uomo. Il doppio femminicidio. Desdemona uccisa da Otello. Emilia uccisa da Iago. Ma siccome in Otello vi era una possibilità di riscatto, lui muore, si uccide per il male compiuto. Non si riscatta morendo, ma almeno si punisce del male fatto. Iago invece rimarrà in vita, a scontare tutta la sua pena.
«Creatura mirabile! La dannazione si prenda / la mia anima, se io non ti amo! E quando / non ti amerò, tornerà il caos.» (Atto III, 3, p 118- 119) Così diceva a un sordo Iago, Otello, prima ancora di farsi rodere dalla gelosia, prima ancora di commettere il crimine. Infatti, il crimine più grande fu quello di credere alle parole del suo alfiere. E dimenticare il suono cristallino delle parole del suo cuore. Dell’amore vero. Genuino. Infatti dopo è tornato il caos. E con il caos la morte.
E le cornacchie, ora che entrino in azione! Ecco le parole di Iago, mentre racconta a Rodorigo, innamorato di Desdemona, la sua doppia identità: «E quando le mie azioni esterne / dovessero manifestare la natura innata / e la forma vera del mio cuore, cessate / le cerimonie esterne, metterei il mio cuore / sulla manica per farlo beccare dalle cornacchie: / io non sono quello che sono.» (Atto I,1, p 9)
Recensione di IO LEGGO DI TUTTO, DAPPERTUTTO E SEMPRE. E TU? di Sylvia Zanotto
OTELLO William Shakespeare
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