OCEANO MARE Alessandro Baricco

OCEANO MARE, di Alessandro Baricco (Feltrinelli)

Torno proprio dal mare. Di centinaia di giorni in un anno me ne sono concessi appena due decine vista mare.

Vista Oceano Mare.

Purtroppo e per fortuna perché il mare accoglie, toglie, dona, restituisce, annienta, interroga, dice.

Rimanda l’immagine riflessa di chi specchia la tempesta della propria anima in subbuglio che cerca, aspetta, misura, soffre, desidera. E si fa onde, correnti, increspature, risucchio.

Maledetto e benedetto mare che costringe a fermarsi, alla resa.

E benedetto Baricco, che sta sempre in fissa col mare, con le navi – occhi del mare- con i bachi da seta, con le anime erranti, i viaggiatori, gli ammiragli, i mercanti, i dispersi, gli inconsolabili.

Torno alla sua scrittura e alle sue storie dopo decenni. Ero giovane e “Seta” e “Novecento” mi avevano estasiata. Poi su “Questa Storia” l’incanto era svanito.

Sono fatta cosi: l’incanto svanisce e abbandono, non torno più.

Poi la serendipitá, con giochi di coincidenze tutte sue, mi fa tornare. E questa volta è Oceano Mare che si apre immenso dinnanzi a me.

Questo libro mi è parso insostenibile, poeticamente truce.

Come la vita, come il mare.

All’inizio ho fatto fatica: che razza di struttura è mai questa, che modo di scrivere strambo e dove vuol andare a parare?

Dopo due parti apparentemente sconclusionate, la prima di introduzione ai personaggi e la seconda di un racconto angoscioso e violento, i pezzi del puzzle piano piano si ricompongono fino al finale. Criptico. Serve una chiave, di lettura.

E, una volta finito, l’insieme fa male, nonostante la poesia.

All’inizio la storia è semplice:

sei vite si incrociano su una locanda vista mare, vista Oceano Mare, perché tutte hanno qualcosa da curare. “Il mare come cura”. C’è Plasson, il pittore che ha perso vista ritraendo i volti dei ricchi e che torna a vedere dipingendo tele bianche cercando l’inizio del mare, Bartleboom, lo scienziato che studia i limiti della natura e che del mare cerca la fine mentre si strugge dell’assenza d’amore come suo più grande limite, Ann Devarie che un limite all’amore e alla passione invece non l’ha mai posto buttandosi a copofitto in un relazione fedigrafa, Elisewen, ragazza intrisa di panico che è tutta paura di vivere perché troppo sensibile al fluire delle cose, Padre Pluche, scrittore di preghiere per persone perdute e che lui stesso si è perso nell’esserci troppo per gli altri e infine Adams, ineluttabilmente “inconsolabile” perché fa parte di quelli che il mare lo hanno vissuto nel “ventre”.

Sei caratterizzazioni magnifiche dell’umano con le sue debolezze, i suoi desideri, le sue paure, i suoi limiti, i suoi dolori insanabili, le elaborazioni e le perdizioni.

Sei percorsi di anime perdute sullo sfondo di un purgatorio vista mare, uno spazio altro tra l’onirico e il surreale, con dei bambini come angeli a gestire la locanda e orientare movimenti e significati e, infine, un settimo ospite in grado di “dire il mare”, scriverlo, dare parole, Verbo, come gli scrittori… come i creatori.

Sei epiloghi diversi, perché non tutte le anime del purgatorio transitano poi fino al paradiso.

Il mare come metafora di vita, Baricco come timoniere alla nave di una storia difficile da leggere se non si è disposti come lettori a variare tra stili, a tuffarsi in un’opera immaginifica e simbolica tra l’assurdo e il truce come solo la vita e il mare sanno essere.

Un mucchio di significati, un’offerta di modi possibili di vedere l’opera, il mare, la vita. Tutti plausibili.

Tempesta e quiete, dramma e poesia. Lettere, risa e tele dipinte bianche, sesso come esperienza sensoriale poeticamente al limite, che non guasta affatto.

Preghiera, speranza, salvezza e vendetta.

Cannibalismo.

Il mare. L’oceano mare.

C’è proprio tutto, forse troppo. Mi scervello e mi ci arrovello ancora.

Molti lettori hanno mollato quasi subito, altri lo osannano come capolavoro, io sono arrivata alla fine e ci penso da giorni a Bartleboom e a quante persone a me care somiglia, e a Elisewen, a quanto mi somiglia(va). A Plasson, a padre Pluche, a Ann. Oh, Ann…su di te non dico di più.

E poi Adams, l’inconsolabile che non accetta l’orrore della vita.

A lui assomigliamo un po’ tutti quelli che hanno ancora un’anima.

Un libro importante, ma, oggettivamente, difficile, insostenibile, a tratti insopportabile.

Un maremoto di pensieri, desideri, speranze e orrori.

Come il mare, come la vita.

Arrivederci Baricco, al prossimo viaggio.

È stato bello ricordare i motivi per i quali tanto mi piacevi.

Tanto quanto il mare.

Recensione di Marta Onirici

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