LA VERITÀ SUL CASO JOANNA DUNCAN Robert Bryndza

LA VERITÀ SUL CASO JOANNA DUNCAN, di Robert Bryndza (Newton Compton)

 

 

Dopo l’appena sufficiente libro dello stesso autore di cui ho parlato ieri, “Indizi mortali”, mi sono avventurato in questo altro, che fa invece parte della saga dedicata a Kate Marshall.

Visti i precedenti, le premesse non erano buone, e il titolo che rifà il verso al ben più celebre “Harry Quebert” (peraltro, a onor di verità, dopo quel libro di “verità sul caso taldeitali” è esploso il mercato) non incoraggiava. Per la cronaca, il titolo originale è “Darkness falls”, e quindi, vista la siderale lontananza con la traduzione, sono stato per un momento tentato di mollare il colpo a priori.

E avrei fatto male, perché i preconcetti non aiutano mai, e quindi mi sono messo bello comodo e ho cominciato la lettura di questo volume che conta circa 300 pagine, e che è il terzo episodio della saga che segue le vicende di questa investigatrice privata.

La prima cosa positiva è che in questo romanzo, di cliché ce n’è il minimo sindacale, e quindi non disturbano. La cosa un po’ meno positiva è che, nonostante lo stile di scrittura sia molto scorrevole e con frequenti ribaltamenti dei punti di vista, forse un po’ troppo spesso vengono inserite delle “decorazioni” che nulla aggiungono alla storia ma hanno il solo scopo di allungare il brodo. Per esempio, la protagonista entra nella casa di una testimone, e «Dalle sue spalle giungeva la musica di un programma televisivo per bambini, una canzoncina per imparare a contare fino a dieci», come se il dettaglio della canzone aggiungesse qualcosa, e anche «Kate notò che aveva tatuato sul polso un simbolo cinese e le dite adorne di gioielli d’argento, due dei quali impreziositi da gigantesche gemme d’ambra», anche in questo caso, un livello di dettaglio del tutto inutile. Ce ne sono moltissimi di questi “abbellimenti”: sul quanto non servano alla storia ma immergano il lettore nella narrazione potremmo aprire una lunga discussione sul fatto se servano o meno, se così lunghi o meno, se così frequenti o meno, eccetera. Io vi dico la mia: ogni tanto ci stanno, altrimenti il romanzo è solo una sequenza di eventi, ma a mio parere qui la storia era un po’ troppo breve altrimenti, e quindi è stato usato l’espediente per allungare il brodo.

Parlando della storia, parecchi dei protagonisti sono gay, ed in quel mondo è ambientata, mostrando, pur senza esplicitarle, parecchie perversioni del settore. Se ci sono anime illuminate e progressiste che maltollerano l’esistenza di siffatti depravati, ecco, forse non è il caso che leggano questo libro, i loro animi sensibili potrebbero risentirne.

Altra cosa che non ho apprezzato particolarmente è il tentativo continuo di aggiungere dettagli e coincidenze per depistare il lettore dalla soluzione che, comunque, era ipotizzabile ma in mezzo a tante altre opzioni. Però qui c’entra più l’esperienza nella lettura dei thriller che la storia di per sé.

In conclusione, direi un bel thriller, molto meglio di quanto mi aspettavo all’inizio, che al netto delle stonature di cui ho accennato, si fa leggere bene e intrattiene il lettore trasportandolo in una storia che, scherzi a parte, non è adatta a tutti.

Recensione di Mitia Bertani

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