L’INTERPRETE DEI MALANNI, di Jhumpa Lahiri (Guanda)
Mi misi in bocca il cioccolato, lasciandolo sciogliere il più possibile, poi, succhiandolo lentamente, pregai che la famiglia del signor Pirzada fosse sana e salva. Non mi era mai capitato di pregare, prima, nessuno mi aveva insegnato a farlo, eppure decisi che, date le circostanze, era la cosa giusta da fare.
Dopo una estate trascorsa a leggere e passeggiare mi trovo a cercare l’ennesima lettura e tra i vari libri che ho sono inciampata in questa copertina. Chi mi conosce sa che sono attratta dagli autori stranieri e quindi, curiosa, mi sono lanciata tra queste pagine. Premessa: non conoscevo l’autrice, il nostro primo incontro è questo libro.
Questo libro scritto da Jhumpa Lahiri é una raccolta con nove racconti, nove “petali” che formano una sorta di fiore di storie narrate con uno stile autobiografico e familiare. Pagina dopo pagina il lettore ha l’impressione che ci sia una voce da “nonno” che racconta ad un nipote la storia di sé e della sua famiglia.
Le storie sono brevi e intense, sono scritte con una semplicità magistrale, un coinvolgimento amorevole ma mai invadente, c’è empatia ma mai imposizione su una emozione piuttosto che un’altra, viene raccontata con naturalezza semplice vita reale. Che poi è mai davvero semplice la vita reale?
Lo stile è magistrale a mio avviso.
Le storie sono nove e come ho detto prima sono petali di uno stesso fiore, la storia appare unica come un unico romanzo. Sono nove sfumature, nove colori, nove soffi di uno stesso respiro. L’autrice con una penna unica pone al lettore importanti questioni relative agli aspetti culturali e alla discriminazione con cui i personaggi si confrontano quando migrano verso i paesi occidentali.
Si scrive di oriente e occidente. Libro attualissimo.
L’interprete dei malanni, che è anche il titolo di uno dei racconti, é un libro con cui si riflette sul trauma del cambiamento scelto e subito dalle persone attraverso l’immigrazione: spesso l’adattamento finisce per essere inutile perché non fa altro che generare identità spezzate, divise tra l’identità di origine e quella nuova. Le storie di Lahiri parlano della sfibrante e sfiancante lotta che stanca i personaggi quando vogliono mantenere la cultura primaria nelle nuove vite in culture straniere. Le relazioni, la lingua, i rituali e la religione aiutano questi personaggi a mantenere la loro cultura in un nuovo ambiente anche se costruiscono una “realizzazione ibrida” come asiatici americani. La mancanza di armonia e felicità alla fine rende il tentativo un’esperienza incompleta, il che porta a difficoltà di comunicazione, segreti e relazioni disfunzionali e una generale insoddisfazione per la vita.
Il libro racconta storie di immigrati indiani di prima e seconda generazione, nonché storie che coinvolgono idee di alterità tra le comunità in India. Le storie nuotano attorno alle difficoltà di relazione, comunicazione e perdita di identità per chi è in “diaspora”. Non importa dove si svolge la storia, i personaggi lottano con gli stessi sentimenti di esilio e la lotta tra i due mondi da cui sono lacerati. Le storie trattano delle linee sempre mutevoli tra genere, sessualità e status sociale all’interno di una diaspora sia che si tratti di una donna senzatetto dall’India, di uno studente maschio indiano negli Stati Uniti, di una coppia in crisi. Tutti vivono lo stesso dramma. L’autrice fa riflettere su quanto costi, in termini di serenità, sia il vivere attaccati al passato per coloro che vivono tra culture e paesi diversi sia scegliere di vivere dimenticando totalmente da dove si viene e i valori con cui ci si è formati.
Nonostante molte delle loro “malattie” personali sorgano a causa dello spostamento culturale e sociale, molti dei loro problemi sono tipicamente universali. Evidenziando un ampio spettro di problemi, Lahiri esplora gli effetti universali della solitudine e dell’estraniamento, e per questo motivo è facile per il lettore immedesimarsi nei personaggi, sentirli vicini anche partendo da esperienze di vita diverse.
L’autrice, a mio avviso, fa qualcosa di grande perché pagina dopo pagina incoraggia i lettori a vedere l’importanza della compassione e della tolleranza che possono davvero aiutare le persone a integrarsi in nuove società e superare sfide difficili. Estremamente difficili.
Libro promosso.
Ho faticato all’inizio ad entrare in empatia con le storie perché la penna mi è apparsa nuova, la capacità dell’autrice di rendere semplici e fruibili a tutti storie di fatto complesse mi ha spiazzato. In bene…
Scopro, quando ho finito il libro, che la Lahiri con questo volume, che ha costituito il suo esordio letterario, ha vinto il Premio Pulitzer nel 2000. Premio meritatissimo…
Libro consigliato a chi ha voglia di riflettere si altre culture e vuole crescere nel concetto di solidarietà.
Recensione di Maria Elena Bianco
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