IL LIBRO DEL MESE: FERROVIE DEL MESSICO Gian Marco Griffi

IL LIBRO DEL MESE: FERROVIE DEL MESSICO, di Gian Marco Griffi (Laurana)

Recensione 1

Da tempo non scrivo recensioni, attività a cui mi sono spesso dedicata – senza un perché – con un certo entusiasmo. E in realtà è l’entusiasmo l’unica vera motivazione che possa spingere – chi come me è una comune lettrice – a impiegare parte del proprio tempo per cercare di spiegare agli altri perché leggere un libro. Quando qualche giorno fa ho riposto sullo scaffale il libro di Gian Marco Griffi, dopo averne assaporato (e ammirato) fin l’ultima pagina ho pensato che – fosse solo per onestà intellettuale – una recensione era dovuta. Perché non capita tutti i giorni di leggere un libro così, un libro che davvero è porta di accesso a un mondo (o forse al mondo in sé); un libro in cui prosa e poesia, ironia e tragedia, sublime e grottesco riescono a viaggiare meravigliosamente assieme, a scambiarsi di posto, a scaturire fluidamente l’uno dall’altro e viceversa. In un panorama letterario che sempre di più scivola nel banale e nell’indifferenziato, “Ferrovie del Messico” marcia fin da subito col piglio imperante del diverso, del grande lavoro, dell’alta letteratura insomma.

Ed è la letteratura infatti la vera grande protagonista della storia, la fitta trama di rimandi intertestuali che abbracciano un arco amplissimo (direi indefinito) di autori. Per deformazione professionale (e forse per amore personale) il primo, e forse banale, accostamento che mi è venuto in mente è stato quello con Ariosto, con la sua tecnica dell’entrelacement, la sua tendenza alla germinazione incessante di tutti i mondi possibili. Ovviamente si trattava solo della prima estemporanea suggestione perché poi è tutta la letteratura del viaggio (e di formazione) ad essere chiamata in causa, partendo dall’Ulisse di Omero, passando per la tradizione picaresca e cavalleresca (come non pensare a Cervantes) per arrivare fino all’Ulisse di Joyce e poi continuare ancora con Borges, Bolaño, Pynchon e chissà quanti altri che non ho avuto il modo e la fortuna di leggere. Griffi è un grande scrittore e, come tutti i grandi scrittori, rivela – attraverso una fittissima trama intertestuale – di essere stato ancor prima un grande e appassionato lettore.

Certo poi c’è la storia in sé, c’è il protagonista Cesco Magetti – un giovane soldato dell’altrettanto giovane e disorganizzata Repubblica di Salò – che ha un terribile (fuor e dentro metafora) mal di denti; c’è l’ordine sconclusionato che gli viene comminato (come tutte le condanne riservate a tutte le ultime ruote di tutti gli ultimi carri) ossia redigere una mappa delle misteriose e oltremodo sconosciute (in tempi che nemmeno sospettavano Google Maps) ferrovie del Messico; c’è il suo incontro folgorante con la bellissima e insolita Tilde di cui si innamora subito; c’è la storia della sua formazione e trasformazione come soldato e come uomo; c’è la storia dell’ultimo difficilissimo anno di guerra con la sua oscena banalità del male. Ma il romanzo in verità non parla di questo, parla di come la letteratura possa avvitarsi su sé stessa, riprendere slancio e poi rimbalzare altrove; parla di come la prosa possa sconfinare di continuo nel territorio della poesia e di come la poesia possa irrigidirsi nella cronaca nuda e cruda della storia; parla della crudeltà degli uomini e della loro miseria ma anche del loro capacità di diventare esseri straordinari nel coraggio, nella misericordia o anche solo nella follia.

Una riflessione a parte merita inoltre la fine ricerca linguistica (e virtuosistica) portata avanti dall’autore, con incursioni che vanno dal sardo al tedesco allo spagnolo all’esperanto al gusto ‘plautino’ del neologismo (penso a taluni volutamente impronunciabili nomi tedeschi, ad esempio). Nell’epoca dell’assottigliarsi del linguaggio, delle parole ‘bandiera’ che sanno di tutto e di niente, Griffi si tuffa in un mondo di parole che spesso mettono in crisi il lettore (seppur colto) ma pure lo seducono con la forza del loro suono, con le loro risonanze interne che riportano in vita l’antico e ammiccano al nuovo.
Il romanzo insomma, come accade per tutti i romanzi-mondo del filone enciclopedico, parla di come la ‘gioia del narrare’ possa ancora – specie nelle epoche di decadenza come la nostra, ahimè – permettere di guardare alla realtà da una specola critica privilegiata; di come leggere (e scrivere) possa ancora salvare la vita a chi è disposto a entrare nel mondo della letteratura vera e a considerarlo magico, perché è solo tra le pagine dei libri che gli uomini diventano immortali.

Recensione di Ester Guglielmino

Recensione 2

Ho letto questo romanzo incuriosita dal titolo e dalla mole: ben 805 pagine. E mi chiedevo come si potessero riempire 805 pagine parlando delle ferrovie messicane.

Le ferrovie del Messico sono solo un pretesto per la realizzazione di un romanzo coltissimo che ha la forma di un romanzo di avventura, di un romanzo di guerra, di un fantasy, di un romanzo pieno del realismo magico sudamericano che diventa anche un po’ sardo – sì, nel senso di proveniente dalla Sardegna – , molto borgesiano, ispirato al racconto “Il giardino dei sentieri che si biforcano”, e già il titolo dice molto. Pieno di citazioni letterarie, artistiche, pittoriche, che fanno la felicità degli appassionati di arte e letteratura, scritto con un lessico elegantissimo, colto e nello stesso tempo colloquiale e scorrevole, sembra una dimostrazione letteraria di come lo spazio – tempo sia curvo.

Questa, in breve, la trama, o meglio, l’idea di base: nel febbraio 1944, Cesco Magetti, un milite della Guardia repubblicana ferroviaria di Asti, che soffre di un terribile mal di denti dovuto a un ascesso, riceve dal suo superiore un compito assurdo: disegnare una mappa delle ferrovie del Messico perché così è stato richiesto dalle alte sfere, anzi altissime. Segue l’incredibile racconto delle avventure che lo porteranno a disegnare tale mappa in pieno svolgimento delle ultime, violente e sanguinose battute della seconda guerra mondiale.

Romanzo corale in cui tutti i personaggi diventano protagonisti, ha forse il difetto ( per me, ovviamente, opinione personale) di essere un po’ troppo prolisso in alcune parti, ma resta geniale e incredibile.

Selezionato tra i dodici prefinalisti del premio Strega, non è stato incluso, e secondo me è stato un errore, nella cinquina finale.

Peccato.

Da leggere, per chi è pronto a tuffarsi in un mondo incredibile.

Recensione di Lucia Serracca

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