LA MIA PREDILETTA, di Romy Hausmann
“La mia prediletta”(Giunti 2020) è il libro d’esordio della scrittrice tedesca Romy Hausmann, un immediato successo che sta proseguendo anche con il suo secondo romanzo appena uscito in Germania.
Il libro è un thriller psicologico di grande spessore con aspetti altamente drammatici che prende spunto dai tanti episodi di cronaca nera riferiti a donne rapite, magari giovanissime o addirittura bambine, segregate e costrette a subire ogni tipo di sopruso e molestia e dei figli nati in cattività all’interno di queste situazioni aberranti e perverse, prigionieri anch’essi di una follia che vorrebbe confondersi con l’idea di una costruzione pseudo familiare che non è possibile definire neanche tale.
Una donna senza documenti viene portata in ospedale in seguito ad un incidente stradale. Con lei una bambina di 13 anni che dice di chiamarsi Hannah e di essere sua figlia. La bambina diafana e con la pelle bianchissima, troppo minuta per la sua età, i capelli biondi e gli occhi di un azzurro glaciale, è molto colta ed educata e brilla in intelligenza.
Viene chiamata la Polizia, perché, mentre la madre è priva di conoscenza, fa delle strane dichiarazioni: la mamma che si chiama Lena, avrebbe appena ucciso il marito, padre della piccola, all’interno della loro casa e il fratellino Jonathan, di 11 anni, sarebbe rimasto là a cercare di pulire le macchie di sangue sul tappeto del soggiorno. La piccola non sa fornire nessuna generalità né l’indirizzo della sua casa che pare trovarsi all’interno di un bosco.
Subito si pensa che la donna possa essere Lena Beck, scomparsa 14 anni prima e i suoi genitori, che hanno vissuto anni disperati in lotta con la stampa e con la polizia stessa che secondo loro non cercava abbastanza la figlia, vengono convocati in ospedale per il riconoscimento della sconosciuta.
Appena arrivati si imbattono in Hannah e non possono non notare che la bambina è la fotocopia della loro figlia scomparsa.
Da questo momento, quando tutto sembra aver preso una piega abbastanza scontata, gli accadimenti diventano sempre più imprevedibili e dopo una serie di colpi di scena che si susseguono incessantemente si arriva, col fiato sospeso, a ciò che mai si sarebbe potuto immaginare.
Interessante l’impianto narrativo con tre voci diverse una dall’altra che, ognuna in capitoli alterni, raccontano al lettore non solo il presente ma anche gli avvenimenti passati, con personaggi perfettamente caratterizzati di cui si percepiscono gli stati d’animo, le emozioni, la speranza, il terrore, la paura, il dolore in tutte le sue più crudeli sfaccettature.
A queste tre voci, nell’ultimo capitolo, si aggiungerà una quarta voce, quella più commovente e vera, la voce di chi non si è mai arreso alla prigionia, alle umiliazioni, all’angoscia portando il proprio spirito talmente in alto che nessun potere minaccioso, nessuna violenta imposizione avrebbe mai potuto soggiogarlo.
Una scrittura scorrevole, molto intensa e coinvolgente, ci porterà verso un finale inaspettato e fitto di situazioni adrenaliniche e ci sarà finalmente una risposta alle tante domande che hanno lastricato il percorso di lettura.
L’autrice, con grande empatia, ci fa vivere le dolorose vicende dei rapiti e dei bambini che, nati in condizioni ad alta deviazione, considerano normale ciò che non potrà mai esserlo, marchiando per sempre la loro mente e la loro anima.
Questi, una volta liberi, troveranno davanti a loro un’esistenza che non sarà mai facile da affrontare se non con enormi sforzi e l’aiuto di chi, nel settore post traumatico, ha dedicato i suoi studi e la sua vita per sostenerli e sorreggerli nella difficile strada dell’elaborazione di quanto subito.
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