LA FIGLIA DELLO STRANIERO, di Joyce Carol Oates
Rebecca Schwart è la figlia del becchino di Milburn, ex tipografo e ex professore di matematica, fuggito dalla Germania nazista e rifugiatosi con la famiglia nello stato di New York.
Costretto ad accettare un lavoro che nessuno vuol fare e una casa dove nessuno vuole stare, Jacob diventa presto preda di un rancore distruttivo. Non è mai facile raccogliere i pezzi, soprattutto quando non hai un motivo per farlo, uno scopo di vita, una speranza. E la famiglia Schwart procede inesorabilmente verso la tragedia.
Ma Rebecca, la più giovane, l’unica di loro nata in terra americana, vuole vivere a tutti i costi. L’incontro con un uomo violento da cui nasce un figlio, invece di darle il colpo di grazia, le mostra la strada per andare avanti; per farlo Rebecca deve sparire agli occhi degli altri e lasciare spazio ad Hazel, nome sconosciuto, appreso per caso da uno strano personaggio che nel corso della storia si svelerà in un piccolo colpo di scena.
Hazel diventa un bel contenitore a cui Rebecca riesce a dare un aspetto rassicurante, un mare placido in cui nascondere la “zingarella”, l’ebrea, la ragazza nera, la ragazza bianca. Ma fino a quando? E davvero le sue origini sono sepolte definitivamente in quel mare?
Un lungo racconto (oltre 500 pagine) sulla vita di una donna forte, che resta se stessa fino alla fine pur sapendo che al mondo si deve mostrare quello che il mondo vuole vedere.
Una trama intrigante, la solita, bella scrittura della Oates, come sempre nessuna concessione al melodramma (malgrado la durezza dei fatti raccontati), insomma un’ottima lettura.
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