KRAMP Maria José Ferrada

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KRAMP, di Maria José Ferrada

Ognuno vede e interpreta la vita in base a ciò che ha e che conosce, M., a sette anni, aveva i cataloghi dei prodotti di ferramenta Kramp, ed ha imparato a costruirsi un mondo fatto di quello, a vedere nel cielo piccoli bulloni da mezzo pollice al posto delle stelle… e a confidare nel progetto del Grande Falegname.

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Una storia raccontata come se fosse una favola per bambini, attraverso la voce di una protagonista che bambina lo è.
Ma è una bambina già adulta, che ha imparato il senso della vita attraverso il lavoro di suo padre e i silenzi assenti di una madre che sembra aver perduto metà di se stessa, da qualche parte, in qualche tempo passato.
“Al primo anno di vita scoprii che c’è una cosa chiamata giorno, una cosa chiamata notte, e che tutto ciò che accade in una vita rientra in una di queste due categorie.
Al secondo anno imparai a guardare dalla finestra. I miei mi dissero che nel corso della vita avrei guadagnato e perso molte cose. Non dovevo preoccuparmi: il mondo sarebbe sempre rimasto lì fuori.
Al terzo anno seppi dell’esistenza delle persone.
Al quarto anno di vita uscii nel cortile di casa e vidi le lucciole.”
Siamo nel Cile degli anni ’70, tra i commessi viaggiatori che percorrono strade polverose che portano nei vari paesini, bar (cuori pulsanti di ogni paese), storie tramandate, cinematografi e fotografie di “fantasmi” (i fantasmi della storia cilena, i desaparecidos)…
Assistiamo così al passaggio, per M., da un’infanzia “da catalogo”, dove con un paio di scarpe lucide e una valigetta piena di prodotti aveva la convinzione di poter fare tutto, anche arrivare sulla Luna, alla perdita di ogni punto di riferimento, alla scoperta di aver vissuto un rapporto “padre/figlia” non solo sbagliato, ma anche svanito insieme al lavoro di lui, fino al ritrovamento di quella parte della madre che sembrava perduta per sempre.
“Io e D rimanevamo fermi e cominciavano a perdere, prima i colori, poi i contorni.
[…] Eravamo esistiti molto tempo prima e, al contrario di quel che avevo immaginato, di per sé scomparire non era affatto doloroso.
Ti trasformi in fumo. Con ciò che resta, le persone del futuro fanno quel che possono.”

Un libro piccolino, che nasconde più di quanto dice.

Molto di più, oserei dire troppo di più.

A me è mancato qualcosa, mi è mancata la vibrazione, l’emozione che esplode all’improvviso.

La Ferrada sfiora il tema della dittatura, sfiora quello dell’infanzia tradita, della perdita dell’innocenza, sfiora il dolore con una dose di levità, per me, eccessiva.

Avrei voluto toccare… e non solo sfiorare.

Peccato.

Recensione di Antonella Russi

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