INFINITE JEST, di David Foster Wallace.
Ho appena finito di leggere questa pietra miliare della letteratura americana, e il termine pietra in questo caso è fortemente attinente visto che parliamo di 1200 e rotti pagine per un peso di 1,960 kg.
Se non lo avessi preso in formato ebook mi sarebbe venuta la tendinite, come a un tennista.
È un libro di enorme complessità.
Labirintico, iperrealista, ossessivo, grottesco, geniale ; il punto di incontro tra Perec, i Simpson e Quentin Tarantino.
Molti dicono che è un romanzo per lettori esperti ma io non credo sia esattamente così ; non occorre avere chissà che livello culturale o capacità di comprensione del testo (che è fortemente intrecciato e ricco di flash back, quindi occhio eh), piuttosto direi che è più utile essere dei buoni ballerini. Meglio ancora delle ballerine. Bisogna farsi portare.
All’inizio il mio intelletto si opponeva, si chiedeva il senso di certe scene grottesche e immagini improbabili, poi mi sono detta “basta”. Ho deciso di farmi portare a spasso senza tanti se e tanti ma; no matter what, no matter hov.
Premettendo che le cose da dire sono, appunto, infinite, vi dico cosa è rimasto a me. Lentamente, ma inesorabilmente, sono rimasta affascinata dai personaggi.
Vado col mio personale ordine.
Hal Incandenza: è colui che ho amato più di tutti. Incarna l’anedonia che, personalmente, ritengo essere il tema centrale del libro.
È un ragazzino in erba (in senso letterale) pieno di talenti ma vuoto; lo senti svuotarsi nel corso del libro. Il suo talento per il tennis, la sua memoria enciclopedica, le sue origini privilegiate, niente di tutto questo lo rende felice o gli fa provare emozioni.
L’ unico sentimento che emerge è la paura di deludere le aspettative ma nemmeno lui, in fondo, sa CHI ha paura di deludere. Ed ecco che a fronte di questa esistenza brillante e promettente, Hal ne vive un’ altra sotterranea nella quale si fa di Bob Hope (Marijuana) come non ci fosse un domani.
Avril Incandenza: mamma di Hal, donna incredibilmente alta e stranamente magnetica. Ostenta infinita empatia e cordialità, ma è incapace di un gesto di amore autentico. Personaggio di enorme complessità e contraddizioni, piena di fobie e ossessioni, mi ha affascinato tantissimo e sono molte le domande che avrei da fare su di lei.
Gatley : ex tossico ed ex ladro, stazza di un armadio a 14 ante. In fondo è l’ eroe di Infinite Jest. Lavora come sorvegliante presso la Ennet House, casa di cura per ex tossici ed ex Alcolisti, si presenta come un ottuso delinquente con un testone da dinosauro ma nel corso della vicenda viene fuori il suo lato di ragazzo per bene. Emerge la sensibilità e, perché no, una certa cavalleria.
Non puoi non fare il tifo per Gatley, unico personaggio che lascia una speranza per il futuro.
Ci sono poi Joelle (la ragazza sfigurata dalla bellezza) , Lui in persona, Orin, Mario, Pemulis… ogni personaggio di IJ è straordinariamente complesso; potrebbe originare un libro a parte, da solo.
I tossici sono notevoli.
Qui dentro si parla molto di tossicodipendenza, senza retorica e senza intenti pedagogici mi raccomando. Il tema è la compulsione a riempire il vuoto esistenziale americano (Onanistico… e questa è una storia a parte che vi consiglio di approfondire) ed è farcito di testimonianze di tossicodipendenti per lo più fulminati nel cervello, ma che in qualche modo ti spezzano il cuore.
Che dire, ve lo consiglio.
È un romanzo che più che riempirti ti svuota e non assomiglia a niente di canonico.
Un’ esperienza da fare che alla fine ti lascia molte domande, non tanto relative alla trama (che resta incompiuta) quanto alla nostra esistenza.
Domandone insomma.
E c’ è tutto Wallace, il ragazzo, la persona intendo, qui dentro…
Se vi va di sperimentare, buona lettura a voi. E auguri!
Recensione di Nicoletta Tamanini
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