IL RINOCERONTE, di Eugène Ionesco
Perché parlare di Ionesco? Perché rileggere “Il rinoceronte”? Lo spunto lo devo ad una poetessa romena che ha eletto l’Italia a patria letteraria e scrive in italiano: Elisabeta Petrescu. Proprio lei è venuta a presentare al Caffè Letterario (14 gennaio 2020) una raccolta di poesie, “Ionescamente. io ne esco come?”, che si ispira all’opera del grande scrittore romeno che come lei si esprimeva in una seconda lingua letteraria, nel suo caso il francese.
Con questa raccolta l’autrice invita i lettori a fare i conti con il passato senza farsi contaminare dall’indifferenza che rende assurdo ogni gesto. Resistere significa abitare il presente, ionescamente, perché la poesia esiste, basta saperla vedere.
“Il rinoceronte” è una pièce teatrale in tre atti, prodotto in una traduzione tedesca allo Schauspielhaus il 6 novembre 1959. Pubblicato in Francia lo stesso anno, fu presentato in anteprima a Parigi all’Odeon – Théâtre de France il 20 gennaio 1960 in una messa in scena di Jean-Louis Barrault. Nell’aprile 1960, l’opera andò in scena a Londra al Royal Court Theatre in un allestimento di Orson Welles con Laurence Olivier nel ruolo del protagonista. L’opera, è un fine esempio di teatro dell’assurdo al pari di “La Cantatrice calva”.
Descrive una epidemia immaginaria che colpisce una cittadina francese: la rinocerontite. Gradualmente tutti gli abitanti si trasformano in rinoceronti. È una metafora geniale per parlare di totalitarismi, conformismo e resistenza al potere politico.
Nel primo atto, i rinoceronti liberi creano allarme e incredulità. Jean, amico del protagonista Bérenger, non crede che ciò che accade sia reale. Il capo della bottega s’indigna, vedendo la casalinga con il suo gatto schiacciato da un rinoceronte: «Non possiamo permettere che i nostri gatti vengano schiacciati da rinoceronti!»
Tutti sono molto impauriti: non capiscono la realtà. Nel secondo atto gli abitanti cominciano a trasformarsi in rinoceronti. Alcuni accettano di buon grado, altri resistono, come Botard che però poi finisce per cedere diventando anche lui un rinoceronte.
Con questa resa, Ionesco sottolinea che anche i più resistenti possono essere ingannati dalla retorica della dittatura. I cittadini si trasformano sempre più numerosi, la metamorfosi colpisce poi anche Jean. Bérenger assiste sempre più sgomento: la metamorfosi si compie sotto i suoi occhi. Jean no suo amin permette al suo amico di chiamare un dottore: «Dopo tutto, i rinoceronti sono creature come noi, che hanno il diritto alla vita allo stesso modo di noi!»
Nell’ultimo atto Bérenger è l’unico a restare umano e a ripudiare la ‘rinocerontizzazione’. Preso dal panico si ribella all’epidemia. Rifiuta di «seguire i suoi leader e i suoi compagni, nel bene e nel male». Perfino Daisy, di cui Bérenger è innamorato, lo abbandona e rinuncia a salvare il mondo con lui per seguire invece un rinoceronte che trova improvvisamente bello, già succube dei nuovi canoni di bellezza.
lla fine, nonostante molte tentazioni, Bérenger decide di non arrendersi: “Sono l’ultimo uomo, e lo resterò fino alla fine! Io non mi arrendo! Non mi arrendo!”
Nella Prefazione, Roberto De Monticelli, analizza il testo teatrale e la sua resa sul palcoscenico: il talento di Ionesco è tale da far uso di stratagemmi attoriali che lo avvicinano a Brecht. La metamorfosi del personaggio Jean, dentro e fuori la stanza da bagno, sotto gli occhi atterriti di Bérenger, è un modello di teatro antipsicologico, ridotto a puro gesto, che la parola segue in maniera didascalica, con una semplice funzione indicativa. È il ritorno alla pantomima.
Tempo di rinoceronti, il presente più di sempre: conformismo, adesione al pensiero dominante, disprezzo della personalità critica. Il Bérenger di Ionesco è l’unico che non vuole diventare rinoceronte, il solo che non cede alla nuova verità. «In fondo, un uomo non è poi tanto brutto», conclude, senza uniformarsi al nuovo criterio estetico dei rinoceronti.
Chi non si sente rappresentato dalla maggioranza, vive sempre nell’assurdo: talora si convince addirittura di essere dalla parte del torto, si sente brutto perché solo, estraneo all’immaginario dominante, scettico di fronte ai canoni e alle mode del momento. In un mondo di rinoceronti, Bérenger è l’unico ribelle, con una spiccata personalità in grado di opporsi alle regole sociali – vecchie o nuove – le norme precostituite, le idee imposte. Ionesco, in questa pièce, attacca l’opportunismo, il doppiogiochismo, la standardizzazione, la resa incondizionata al potere dominante. Ionesco, con la resistenza di Bérenger, ci dice che nell’estremo pericolo, si ritrova il senso, si può addirittura guarire dalla malattia dell’assurdo. Ionescamente. Contro vecchi e nuovi rinoceronti.
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