IL GIARDINO DI CEMENTO, di Ian Mc Ewan
Rimasti da poco orfani del padre, stroncato da un infarto, quattro fratelli che abitano in un’anonima periferia inglese, decidono di tenere nascosta al mondo la successiva morte della madre, cercando un isolamento che li illuda che niente sia cambiato.
Uno spietato spaccato di desolante quotidianità è al centro di questo romanzo che analizza il concetto di famiglia in modo originale e spiazzante: nel descrivere la squallida periferia circondata dal cemento, la desolazione che fa da sfondo alla storia e il caldo torrido e opprimente, l’autore riesce a calare il lettore in un clima narrativo che si fa sempre più angoscioso mano mano che la narrazione procede e che sembra privare i personaggi della propria consapevolezza e della propria volontà, facendoli muovere come sonnambuli in questo scenario fittizio nel quale si è trasformata la loro casa.
La mancanza di contatto con la realtà, oltre alla disgregazione dei punti di riferimento fa apparire, tutto come un bizzarro gioco nel quale i più piccoli come i più grandi assumono, straniti, i ruoli che furono ora dei genitori ora dei fratelli più grandi e l’immedesimazione prosegue fino a un epilogo sul quale l’autore non si sofferma troppo, proprio perché percepito come inevitabile fino dall’inizio.
La profondità con la quale McEwan si dedica all’introspezione psicologica, arte nella quale è maestro, è unita a una prosa fluida e animata da frequenti cambi di scena e di punti di vista narrativi che rende la lettura veloce e mai appesantita da elementi superflui, accelerando addirittura nei punti in cui l’inevitabile si concretizza a dispetto della speranza del contrario.
McEwan è un autore che non delude e questa è una delle sue prove di scrittura più fulgide e valide: consigliato agli appassionati di letteratura inglese e agli amanti della buona lettura.
Recensione di Valentina Leoni
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