I FIUMI DI PORPORA, di Jean-Christophe Grangé
Questo è il quarto libro di Grangé che termino. Come sempre l’azione di svolge in Francia. Siamo a metà degli Anni Novanta e si inanella una duplice indagine. Da una parte il veterano Pierre Niémans viene chiamato a investigare in una piccola città universitaria dove un giovane viene ucciso in circostanze macabre. Dall’altra parte il giovane tenente di polizia Karim Abdouf si trova a dare la caccia a un profanatore di tombe. Almeno così sembra.
Le due città dell’indagine (Guernon e Sarzac) sono entrambe fittizie ma l’ambientazione sono le alte montagne dell’Isère, nella regione delle Alpi Francesi. La linea temporale è, come al solito, molto breve: senza rivelare troppo direi meno di una settimana dell’autunno 1996 (alcuni fatti reali sono però accaduti nel ’94-’95).
Anche se questo è solo il secondo romanzo scritto dall’autore ho trovato tutto ciò che contraddistingue Grangé. I protagonisti sono sempre due, sempre “lupi solitari” senza famiglia, affetti, orari e spesso violenti. I casi hanno sempre elementi disturbanti: si tratta di ritrovamenti con aspetti morbosi e ossessivi. Nelle indagini fanno spesso capolino: turbe mentali e rituali molto complessi che riportano a fanatismi da setta. In ogni romanzo Grangé aggiunge minuziosi elementi tecnici riguardanti ciò che i protagonisti o gli indiziati sanno fare per hobby o devono approfondire per l’indagine. Infine non mancano mai sofisticate elucubrazioni sulla parte più misteriosa della mente, della perfezione, di qualunque tipo di ascesi (che spesso è verso gli Inferi).
È uno stile che deve piacere, oppure si detesta. Mi piacerebbe sapere la vostra opinione sull’autore.
Recensione di Rossana Bandi
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