GLI INTRAMONTABILI: IL CAVALLO ROSSO Eugenio Corti

GLI INTRAMONTABILI: IL CAVALLO ROSSO, di Eugenio Corti (Ares)

 

Il titolo scelto, che è una citazione biblica: “Quando l’Agnello aprì il secondo sigillo, udii il secondo essere vivente che gridava: “Vieni”. Allora uscì un altro cavallo, rosso fuoco. A colui che lo cavalcava fu dato potere di togliere la pace dalla terra perché si sgozzassero a vicenda, e gli fu consegnata una grande spada” (Apocalisse 6, 3-4), per poche opere tra tutta la letteratura mondiale non sarebbe parso pretenzioso, e questo romanzo è uno di quelli. E’ infatti il “Guerra e pace” italiano e non riesco a immaginare come meglio l’autore avrebbe potuto rendere al lettore l’immensa follia che è la guerra, come meglio avrebbe potuto coinvolgermi fino alle lacrime scrivendo dei ragazzi al fronte che ero io, che erano gli amici fraterni che ho avuto io, che erano la meglio gioventù, solo nati cinquanta o sessant’anni prima di me.

Una generazione stupenda di giovani appassionati, romantici, idealisti, traditi dalla classe politica (ma non solo) più infame e criminale che forse la penisola italica abbia mai partorito. Mi ha fatto tornare alla mente le parole di Bud Spencer (alias Carlo Pedersoli) nel corso della sua intervista, pochi mesi prima che morisse: “la guerra è la cosa più stronza che ci sta al mondo: i più belli, i più forti, i più magnifici, li mandiamo a essere ammazzati, per fare che? La guerra è una cosa inutile.” E’ un romanzo che andrebbe fatto leggere a qualunque adolescente, loro che hanno ideali solo sopiti ed energia da vendere, e sfidarlo poi a non sentirsi spronato a dare il meglio di sé per il bene dei propri cari, della propria comunità, anche del nostro paese, con tutto l’entusiasmo possibile. In questo romanzo trovano la migliore realizzazione espressioni come “senso civico”, “servizio per gli altri”, abnegazione e sacrificio. Io non mi capacito di come possa essergli stato negato il premio Nobel e ancora di più di come sia possibile che non l’abbia mai sentito nominare prima da un qualsiasi straccio d’intellettuale.

Nella seconda, e ancor più nella terza parte del romanzo i personaggi vanno ulteriormente delineandosi. La massa ancora un poco indistinta di giovani soldati, coerentemente anche con l’avanzare della loro età, prende un carattere più marcato ed emergono così il romantico, l’intellettuale, l’idealista, il politico, ecc. e di nuovo insieme a quella classe dirigente e operaia in erba, che avrebbe consentito il boom economico dell’Italia nel Secondo Dopoguerra va attaccandosi in maniera perniciosa una nuova schiera di opportunisti, traffichini, pure appassionati di politica o della cosa pubblica, ma in chiave più da tifoso nei casi migliori, di opportunista negli altri, non di coscienza critica, di libero pensatore. E’ il paradigma che come noto è andato prendendo sempre più piede col finire delle ideologie, delle grandi adunate politiche o sociali per scadere nel più bieco carrierismo. Col susseguirsi di alcuni tra i maggiori eventi che hanno caratterizzato la storia meno recente dell’Italia, fino al referendum sul divorzio del 1974, quando il libro si conclude, si alternano le vicende personali dei principali personaggi, l’avvio definitivo della loro vita, con l’amore, il lavoro e sempre il loro impegno civico sullo sfondo.

Tutte situazioni in cui s’incastonano perfettamente le loro riflessioni sulla vita passata e presente, le amarezze e le grandi domande sul male di vivere, su Dio, sulla morte, sul tanto amore che spendiamo e i ricordi spesso struggenti che talvolta ci rimangono come unica ricompensa di una vita, che chi di più, a chi meno, a chi in un certo periodo, a chi in un altro, inesorabilmente va succhiando ogni nostra energia.

Nonostante i temi elevatissimi che il romanzo affronta, la prosa è estremamente semplice, condita anche con espressioni dialettali sempre debitamente spiegate, così da essere alla portata di tutti. Anche le scelte nella costruzioni dei periodi, così come delle singole parole, è semplice e popolare come lo è la tempra morale dei personaggi, per cui alla fine è impossibile non rammaricarsi della sua ineluttabile conclusione.

Recensione di Luca Russo

IL CAVALLO ROSSO Eugenio Corti

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