Facciamo memoria per… non dimenticare: Auschwitz città tranquilla Primo Levi

Facciamo memoria per… non dimenticare: Auschwitz città tranquilla, di Primo Levi (Einaudi)

 

“La memoria umana è uno strumento meraviglioso ma fallace”

Facciamo memoria per…non dimenticare!
Levi non è stato solo un testimone, sebbene esemplare. Definirlo solo così sarebbe come limitarne la grandezza, il valore e l’importanza.
Levi è stato un intellettuale autentico, uno scrittore, un poeta, un romanziere, un narratore, un drammaturgo, un saggista e un grande immenso pensatore.
Ma oltre ed insieme a tutto questo, Levi è stato un chimico.
Non è possibile scindere le cose: “Io sono diviso in due metà. Una è quella della fabbrica: sono un tecnico, un chimico. Un’altra invece è totalmente distaccata dalla prima, ed è quella nella quale scrivo, rispondo alle interviste, lavoro sulle mie esperienze passate e presenti. Sono proprio due mezzi cervelli. E’ una spaccatura paranoica”
In questo libro, composto da dieci racconti, racchiusi in una cornice fatta di due poesie e con un titolo che è un paradosso agghiacciante, ho conosciuto un Levi inedito: il Levi testimone, il Levi romanziere e il Levi chimico.

Levi che con la sua forza immensa di osservare, di distaccarsi con una parte di sé e della propria mente, dagli orrori che non ha subito passivamente, si è interrogato su quello che gli stava accadendo.

Questa sua facoltà è stata una delle ragioni della sua sopravvivenza…indagare, chiedersi, catalogare, immagazzinare quante più informazioni possibili, gli ha permesso di mantenere viva la mente, di non perdere la sua dignità di uomo e di poter poi testimoniare l’orrore vissuto.

In questo libro racconta e indaga il Lager, Auschwitz, ma con una visuale diversa e ce lo ripropone come una realtà fuori dal tempo e dallo spazio, ma pur sempre presente, come un gas che silenzioso si espande e indisturbato si diffonde.

Levi ricorre anche in questo testo alla potenza di Dante, ma qui lo vive meno di pancia e di cuore e più di testa. E’ un Dante più ragionato.

E’ il Dante che parla al Levi scrittore, mentre quello del meraviglioso Canto di Ulisse di “Se questo è un uomo” è il Dante di un uomo disperato, che si aggrappa a lui per restare vivo, per sentirsi ancora essere umano nonostante tutto.

Sostanzialmente questi 10 racconti, alcuni autobiografici che ci raccontano di Levi tornato “alla normalità”, sono una denuncia velata, ma neanche troppo, alle nefandezze del nazismo, non solo nei confronti degli ebrei ma dell’umanità tutta.

Non c’è truculenza, niente di macabro o claustrofobico, non si vive la mancanza di luce, la fame divorante, le percosse, le esecuzioni, le docce letali e i forni, descritti in “Se questo è un uomo”, ma si percepisce lo stesso freddo, lo stesso gelo che stringe il cuore, l’indignazione per quello che è successo e la paura che possa riproporsi in altre forme.

Fa riflettere molto, perché ci invita a interrogare la storia, i fatti, per cercare di capire il funzionamento di quei luoghi, di quel sistema capovolto, malato, di quelle persone…tutte: aguzzini, collaboratori, vittime e di tutti coloro, molti purtroppo, che hanno girato la testa da un’altra parte.

Questo libro ci invita non a trovare ma piuttosto a cercare, ad affrontare la nostra ignoranza e la nostra pigrizia, a “formulare meglio le domande”.

Ma sul finale ci svela anche un uomo stanco, stanco di essere un testimone la cui memoria ormai si va affievolendo, un testimone che racconta verità scomode, che molti hanno cercato di negare.

Sul finale mi è arrivato un Levi schiacciato dal peso dei ricordi.

“pensava che, se le versamine sanno convertire in gioia anche i dolori più pesanti e più lunghi, il dolore di un’assenza, di un vuoto intorno a te, il dolore di un fallimento non riparabile, i dolore di sentirti finito, ebbene, allora perché no?”

Buona lettura!

Di Cristina Costa

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