ENDURANCE – L’incredibile viaggio di Shackleton al Polo Sud Alfred Lansing

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ENDURANCE – L’incredibile viaggio di Shackleton al Polo Sud Alfred Lansing

 

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L’Endurance era una goletta a tre alberi in legno che Sir Ernest Shackleton , dopo due anni di preparativi, mise in  mare il 1°Agosto del 1914 a Londra. Scott e Amundsen avevano da poco raggiunto il Polo Sud, quindi Shackleton decise di tentare un’impresa ancora più difficile: attraversare l’Antartide da ovest ad est, con le slitte trainate dai cani, passando per il Polo.

L’avventura non ebbe nemmeno inizio: il 10 gennaio 1915 L’Endurance raggiunse il Mare di Weddel e solo nove giorni dopo rimase incastrata nei ghiacci del pack, andando alla deriva così imprigionata fino al 21 novembre, quando fu stritolata dai ghiacci. Shackleton ed i suoi 27 uomini si accamparono sulla banchisa con le tende, dopo aver recuperato quanto possibile dalla nave: scorte alimentari, vestiti, attrezzature e tre scialuppe di salvataggio.

 

 

Speravano che il moto della banchisa li portasse abbastanza vicini alla terraferma, ma non fu così: dopo quattro mesi, ad aprile 1916, si affidarono a due delle scialuppe per attraversare uno dei mari più violenti fino all’isola Elephant, poco più di uno scoglio in mezzo ai Sessanta Stridenti, come vengono chiamati i terribili venti dell’Antartide (Quaranta Ruggenti, Cinquanta Urlanti…). Shackleton decise di raggiungere la Georgia del Sud (1.600 km da Elephant Island) con una scialuppa, accompagnato da cinque dei suoi compagni. La traversata impossibile riuscì, ma l’approdo in Georgia del Sud avvenne in una zona disabitata, e Shackleton ed i suoi compagni furono costretti ad attraversare trenta miglia di montagne sconosciute per arrivare ad una stazione baleniera da cui organizzare i soccorsi per i ventidue compagni rimasti su Elephant Island, che furono salvati quattro mesi dopo.

 

 

Questa la storia di quella che ancora oggi è definita a ragione la più estrema delle imprese mai compiute, anche in considerazione del fatto che si riferisce ad un’epoca – i primi anni del Novecento – in cui le attrezzature non erano certo quelle a disposizione ai giorni nostri: nessuna apparecchiatura di rilevazione o comunicazione, abbigliamento non adeguato alle necessità ambientali, nessun tipo di supporto logistico. Il fedele racconto di Alfred Lansing, basato sulla testimonianza diretta di dieci dei membri dell’equipaggio sopravvissuti all’impresa, sui documenti di bordo e sui diari personali di altri otto imbarcati, non è solo il resoconto di una delle imprese che resteranno per sempre nella storia delle esplorazioni, ma anche la descrizione di un evento potenzialmente tragico che si è trasformato in un esempio di quanto una leadership  adeguata sia in grado di affrontare e risolvere anche la situazione più difficile. Il piglio giornalistico, arricchito dalle riflessioni personali dei partecipanti e da descrizioni sintetiche quanto potenti, rende la lettura scorrevole ed avvincente.

 

 

La figura di Sir Ernest Henry Shackleton è il perno su cui si appoggia tutta la storia, le sue capacità sono state tali da riuscire a rendere vincente un’impresa che era naufragata – è il caso di dirlo – ancora prima di cominciare, e tutto ciò grazie alla sua straordinaria sensibilità al lavoro di gruppo, alla scelta dell’equipaggio giusto, alla gestione adeguata delle risorse. Tanto da diventare un esempio per studi approfonditi sulla leadership, come il saggio La via di Shackleton, di Margot Morrel Stephanie Capparel, rispettivamente analista finanziaria ed editorialista del Wall Street Journal, in cui gli autori individuano le doti necessarie per diventare un “capo” amato, rispettato, vincente.

Ma al di là di queste considerazioni, è un libro di grande potenza che trascina il lettore in un mondo gelido nel quale sembra impossibile sopravvivere,  ed invece svela la sua terribile bellezza.

Recensione di Simona Vagaggini

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