Encomio del professor Sperelli: Io speriamo che me la cavo

Encomio del professor Sperelli: Io speriamo che me la cavo

 

 

 

 

 

Nel cuore di Corzano, in provincia di Napoli,  il professor Sperelli manda avanti la sua battaglia contro la camorra e contro l’ignoranza. Il rapporto con gli allievi, i bambini della 3b, della scuola elementare Edmondo De Amicis, è naturale, spontaneo, nonostante le differenze, nonostante lui sia un uomo navigato dalla barba abbondante, uomo del nord (genovese). Ebbene si, questo è il film del divario, tratto dall’opera di Marcello D’orta Io speriamo che me la cavo, sessanta temi di bambini napoletani (Mondadori, 1990), il film Io speriamo che me la cavo (Lina Wertmüller, 1992) è squisitamente attuale e contemporaneo; passati 31 anni dall’uscita del film, i suoi piccoli protagonisti, allora infanti, adesso sono adulti e salutano teneramente il loro caro maestro Sperelli defunto (Paolo Villaggio ci lascia nel 2017, lasciandoci tanto su cui riflettere sia nel tragi-comico, sia nel serio) con un semplice ma espressivo “Ciao Maestro”. Lo fa uno di loro, Raffaele (Ciro Esposito).

 

 

Il professor Sperelli finisce in un sud aggressivo e disperato per un errore ortografico, simbolo, forse, di un’Italia approssimativa, veloce, non attenta alle esigenze dei singoli. Fin da subito si ritrova in una realtà molto diversa dalla sua terra natia, qui, si scontra con la ruvidezza del carattere napoletano, ridente da un lato, malinconico dall’altro, come chi la mattina a scuola dorme sul banco  e di notte (Gennarino), come in quella canzone di Pino Daniele, “fa cartoni”. Qui è tutto decadente. A Corzano i bambini sono già grandi, sono strappati da subito dalla fase dolce dell’infanzia, che dovrebbe essere la fase della spensieratezza, del gioco, del vivere il presente senza timori, magari con in mano una bambola o un bel pupazzo di plastica, i bambini vengono “gettati” nella Napoli della sopravvivenza, ognuno dedito già al suo mestiere. Baristi (Vincenzino), cartonai e tutti i micro-mestieri del popolo distante così tanto dal mondo dei ricchi e di chi non ha problemi ha pagare il medico, se viene la febbre (è Tommasina).

 

 

Il professor Sperelli un po’ alla volta impara ad addarsi a quella realtà, fino ad esclamare al balcone “ma lo sa che Napoli è proprio bella!”. Adagiata con il suo corpo di sirena sul mare del golfo, di Napoli. I bambini, nonostante abbiano un rapporto alquanto burrascoso e di diffidenza con le nozioni e la cultura (di cui il maestro si fa portavoce e simbolo di un’educazione che mira a tirare fuori i bambini dalla strada e a formarli come adulti pensanti) non sono “cattivi”. Raffaele, quello con i capelli impomatati, ad esempio, quello che è simbolo della micro-camorra, non è di indole malvagia, alla fine diventerà amico dello Sperelli ed è lui che con la sua celebre formula “io speriamo che me la cavo” (“i buoni rideranno e i cattivi piangeranno, quelli del purgatorio, un po’ ridono e un po’ piangono. I bambini del Limbo diventeranno farfalle. Io speriamo che me la cavo” cit. ) detta alla fine del film, dà titolo all’opera cinematografica, firmata Lina Wertmüller.

 

 

Per quanto riguarda il film. Fotografia eccelsa. Attori magnifici. I piccoli protagonisti della scuola elementare, ognuno di loro è pienamente napoletano, ognuno di loro è esempio concreto di quel modus vivendi che vive di espedienti, di collera, di pianti e di sorrisi, angelici. Perché loro, i bambini della 3 b, come ogni bambino sono nell’età dell’innocenza, la colpa è dei loro padri e madri e non di loro stessi. Sperelli è carismatico, profondo, la sua parlata che stride con l’italiano dal forte accento partenopeo dei piccoli, è come una musica per le orecchie; determinato, corretto, colto, cerca di strappare quei giovani cuori dal mondo dell’odio che li circonda, dalla feccia e soprattutto dalla povertà. Come si vince la povertà? La migliore cura contro la povertà educativa o quella materiale, è la cultura. Chi legge, romanzi o i libri in genere partecipa del pensiero dell’autore e del sistema di idee, di concetti che egli mette in piedi; chi legge ha una mentalità aperta. Perché può nascere un fiore anche nel cemento, e magari tra i rovi di una Napoli sotterranea che non perdona.

Giovanni Sacchitelli

 

IO SPERIAMO CHE ME LA CAVO. Sessanta temi di bambini napoletani, a cura di Marcello D’Orta

IO SPERIAMO CHE ME LA CAVO. Sessanta temi di bambini napoletani, a cura di Marcello D’Orta

 

 

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