DIARIO DI SCUOLA, di Daniel Pennac (Feltrinelli)
Lettura per tutti, grandi e piccini, intellettuali e non, geni e somari.
Mi è simpatico Monsieur Pennac. Mi suscita un’inspiegabile “empatia” con quella sua aria francese, il suo sguardo a quattr’occhi, il suo modo elegante di gesticolare, la sua maniera tutta intellettuale di trovare le parole giuste.
E dire che io non mi interesso molto della fisicità e/o della vita degli scrittori.
Cerco sempre di dedicarmi in primis alla lettura delle opere onde evitare qualsiasi forma di condizionamento. Ma monsieur Pennac mi ha stregata e leggere “Diario di scuola” è stato un piacere e un’ulteriore conferma di ammirazione verso questo scrittore/professore che del sapere ne ha fatto un’arte.
Ho trovato “Diario di Scuola” un libro pensato nell’onestà di raccontare il suo percorso di studente afflitto da somaraggine sino al suo ruolo opposto di professore, ruolo che lo vede nelle vesti quasi di un missionario verso chi la scuola la concepisce come una minaccia, un ostacolo, in ricordo del somaro che fu!
Le scene raccontate, per uno smemorato come lui, cosi come si autodefinisce, sono concepite come di getto giocando sull’ironia tra il serio e il faceto.
E cosi ci parla delle sue difficoltà scolastiche, dei luoghi comuni, dei modi di dire comuni, delle sue paure e dei suoi sogni di adolescente, delle sue letture, dei suoi giochi e di come sia riuscito a scavalcare, grazie al metodo fuori protocollo di quattro professori, lo scoglio dell’ignoranza in cui sembrava essere impigliato.
E ci racconta la sua vita di professore con i suoi studenti, figli del “diventare”, uomini del futuro, che vivono le stesse paure, le stesse sensazioni di esclusione, la stessa solitudine, la stessa condizione di incompresi che fu del suo essere adolescenziale.
E la paura (di non riuscire) fa si che i giovani vedano la scuola come qualcosa di insormontabile se non addirittura di inutile, soprattutto oggi dove regna la legge del consumo e della visibilità a ogni costo senza eccessivi sacrifici, senza il do ut des che inevitabilmente la scuola esige.
Non è cambiato nulla anche se nel progredire delle mode e del consumo: le inquietudini sono sempre le stesse oggi celate sotto l’illusorie marche fashion (corona fittizia di tanti re immaturi “vedo che egli esiste solo con la sua corona in testa, e che non era più nulla se non è re”) di aggregazione al branco con il miraggio dell’unicità.
Si sacrifica il pensiero esclusivo per l’apparire di massa. Mon Dieu!
Ma “per quanto strano vi possa sembrare voi siete impastati delle materie insegnatevi a scuola”
Monsieur ci parla, quindi, di scuola, nel bene e nel male, ci parla di questo e di quello e mentre racconta esalta il suo sapere, conquista da ex somaro, che lo rende fiero del suo ruolo senza etichette e simboli e di questa esaltazione/passione/amore ne fa la base del suo insegnamento…(*)
Un grande professore, un simpatico scrittore che l’amore per la conoscenza gli ha permesso di giocare con le parole e con i suoni creando, nella sua classe e fra i suoi lettori, un’atmosfera lieta e serena.
(*)”Tutto ciò che gli uomini fanno, gli uomini possono distruggerlo; gli unici segni indelebili sono quelli impressi dalla natura, e la natura non crea né principi, né ricchi, né gran signori.
Cosa farà, dunque, nella bassezza, quel satrapo che avrete allevato solo per la grandezza? Cosa farà nella povertà quel pubblicano che sa vivere soltanto nell’oro? Cosa farà, sprovvisto di tutto quel fastoso imbecille che non sa avvalersi di se stesso e si affida solo a ciò che è estraneo a lui?
Fortunato quindi chi sa abbandonare la condizione che lo abbandona, e rimanere uomo a dispetto della sorte!
Che si lodi quanto si vorrà il re sconfitto che come un folle vuole essere sepolto sotto le macerie del suo trono, per lui io provo disprezzo; vedo che egli esiste solo con la sua corona in testa, e che non era più nulla se non è re; ma colui che la perde e sa farne a meno è allora al di sopra di essa. Dal rango di re, che un vile, un malvagio, un folle può adempiere come chiunque altro, sale alla condizione di uomo, che pochi uomini sanno adempiere…”
Un passo dell’ “Emilio” di Jean-Jacques Rousseau che adoro, citato nel libro “Diario di scuola”
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