UNDERGROUND Murakami Haruki

UNDERGROUND, di Murakami Haruki

Questo è un Murakami totalmente diverso e probabilmente unico. Qui lo scrittore veste i panni del documentarista e racconta l’attacco terroristico al gas sarin avvenuto nella metro di Tokio il 20 marzo 1995 ad opera di alcuni seguaci della setta di Aum.

Tornato a Tokio dopo cinque anni di vita spesi tra l’Europa e gli Stati Uniti, Murakami sente fortissima l’esigenza di riavvicinarsi al Giappone non solo fisicamente ma anche emotivamente e decide di farlo attraverso uno studio approfondita dell’attentato e di ciò che l’ha provocato.

Per tutto il 1996 raccoglie interviste dei sopravvissuti e dei parenti dei deceduti e a queste aggiunge alcune testimonianze di membri della setta Aum. Il suo ruolo è quello di semplice spettatore. Non toglie e non aggiunge una sola parola a nessuno dei documenti testimoniali che racconta. Tratta vittime e carnefici alla stessa maniera, con una totale sospensione di giudizio. Lascia che siano le parole di chi era li, in entrambi i ruoli, a creare un giudizio e una condanna.

Non edulcora nessun passaggio polemico e astioso ma non calca neanche la mano sui brani piu dolorosi di chi ha riportato gravi danni permanenti.

La sua abilità in questo libro probabilmente è proprio questa. Non deve essere facile per uno scrittore cosi immaginifico trattenersi dallo scrivere qua e là qualcosa di proprio. Abbellire testimonianze un po piatte o rendere dure e disturbanti le parole di rabbia e di odio.

Invece no. Lui resta li, esattamente come il lettore, ad ascoltare tutti dimostrando grande umiltà e non ipocrita empatia.

E pare chiedersi, proprio come chi lo legge, come sia possibile che stimati professionisti, uomini con vite ordinarie e serene un giorno scelgano di salire sulla metro con delle sacche di Sarin, decidano una fermata a caso e poi rapidi e non visti, buchino con la punta di um ombrello i contenitori con il loro carico di morte.

Un libro da leggere se si vuole approfondire un momento veramente buio della storia recente giapponese.

Recensione di Annachiara Falchetti

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