UN POST D’OCCIDENTE Sergio Talenti

Un post d’Occidente, di Sergio Talenti

Con scritti di Maurizio Vanni, Marialina Marcucci, Amos Bertolacci (Edizioni Pacini Fazzi, 2021)

 

 

È la lacrima intrisa di sangue e umori vitali che segna la pietra di infinito senza definire un tempo su questo pianeta.

Conosco bene Sergio: sono la madre di due dei suoi figli. Conosco bene la sua poesia. La mia danza è stata madre dei suoi versi prima ancora della vita. Amo la sua poesia. Le sue immagini. Il suo viaggiare nel tempo e nello spazio con le parole che sono le nostre ma che si tingono di colori futuristici immersi nei pigmenti dell’antichità. Non capisco sempre il suo pensiero, ma lo seguo sempre ovunque laddove mi conducono le sue invenzioni. Ho dentro di me il suo infinito. Ho rubato il suo non coniugare i verbi, ho imparato poi a lasciare che le azioni si srotolino senza tempo, che nel nostro cuore perdano qualsiasi connotazione temporale.

Ho danzato con la sua poesia prima ancora di osare con la mia. «Sepolti nel sole gli occhi del dinosauro» sono versi che risuonano e riecheggiano un antico leitmotiv nel palinsesto diventato ormai parte del mio background.

 

 

Non vorrei scrivere di fatto. Preferirei danzare le sue parole. Ma oggi il mio corpo inizia a scricchiolare, le giunture non reggono sempre l’impeto e il movimento non fuoriesce, non coglie il senso di leggerezza e di fluidità che sgorga dal flusso magmatico dei testi di Sergio. E allora mi rifugio in questi miei consigli scritti, ma lo faccio con ardore, con veemenza. “Un post d’Occidente” mi risveglia un complesso modo di reagire agli eventi, soprattutto quelli che non ci piacciono, che tentano di privare l’uomo delle sue pulsioni più intime, di vivere le sue emozioni segrete, di dar luce alle sue visioni.

E vorrei trasformarmi nel lombrico che forse salverà la terra, che forse salverà la razza umana.

Come dice Maurizio Vanni, «la sua narrazione richiama il futuro di un passato che nasconde storia e presagio.» (p 6)

Seguendo una traccia segreta, ecco comparire una serie di immagini come se fossero post, uno dietro l’altro, senza perdere tempo: la visione è quella che conta. Orizzontale. Il verticale è già stato: «… e strabica anche la memoria» (p 18) «e scrutare / dai promontori d’autunno barche in fuga» (p 19) «se rotolare la luna di New York» (p 21) «scivolare nelle buche / disorientati / in pena / il post d’occidente va cliccato da qui… / “prima di tutto dovevamo contare i morti…”» (p 22)

 

 

Oggi, mi chiedo, chi conta i morti?  Gli umani sanno solo «scavare voragini incubi» (p 36) E allora non si sa più se quel che rimane di noi sia un bene o un male. Le macchine hanno fatto il resto. Ci siamo lasciati ingannare dallo specchio facile dei social nel continuo rimirarci nei nostri post. Laddove è un inno infinito (anche questo) al nostro io da mostrare. Senza mettere in conto che domani: «toccherà a noi / fronteggiare i predoni / spiriti dell’ego» (p 39) Ma Sergio è un poeta e non riesce a staccarsi dalla speranza che forse l’uomo si può ancora salvare: «toccherà a noi / chiedersi / dove mai le nuvole…» (p 39) «e respirare forte / il pensiero sarà lieve» (p 48).

Il pensiero non esiste senza le parole e le parole possono essere dei varchi, possono davvero liberare l’anima da zavorre che impediscono la vera visione, in fondo, la capacità di muoverci nella direzione giusta: «sapere / che non ci sono né porte né finestre / in fondo al cuore / se non / la parola mai detta / la parola d’acqua / la parola parola» (p 55)

Ma qual è la direzione giusta? Nessuno lo sa, il fallimento dell’uomo si legge in un pianeta devastato, dove ormai è impossibile scorgere le proprie origini. Eppure in qualche modo, è lì che bisogna tornare, è lì che abbiamo qualche chance di ritrovare un orientamento: «un dio-femmina / cantare / sottovoce» (p 44), «vagare tra schegge dell’ora estrema» (p 68), «ascoltare il dio-femmina» (p 68), «essere curvilinei / pesci vagabondi nudi» (p 69), «essere anima essere pietra / mille diecimila anni fa» (p 86).

 

 

Ecco che però la storia ha fatto ben altro. E con Sergio, il verbo si coniuga quando la storia tinge questo tempo di rosso: «da Guernica ad Aleppo / non ha memoria il maschio bianco / quando uccide» (p 88). Non abbiamo scelta, noi poeti, e chi come noi poeti cerca il genuino dentro e fuori la propria essenza (o il proprio io?). Essenza da non confondere con gli ego spalmati nei post dei social. Non abbiamo nemmeno lo spazio per vivere un tempo che non abbiamo mai capito perché non abbiamo capito che non si può capire il tempo nello spazio. Forse possiamo srotolarlo? E in caso, come si fa?

Nell’eterna ruota della vita, nascita dopo nascita tutto avviene – è avvenuto – con umiltà: e qui forse uno spiraglio di luce: «essere / in principio / tutti i luoghi dell’essere/ canto dell’orca marina / edera / io fui femmina rinata / nel dolore di città alla deriva» (p 100), «ricominciare dove tutto ha fine / il mare appunto / e lì essere» (p 125). D’altronde il libro è dedicato a noi, le madri e a loro, i figli. Di Sergio. Ma nelle pagine del libro, perdiamo i nostri nomi e ci confondiamo con le madri dell’umanità e i loro figli.

Per concludere questo mio divagare, prendo in prestito le parole di Amos Bertolacci: «la sorpresa più grande di questa opera non è il pensiero che l’autore vi immette, bensì il modo con cui egli trasferisce al lettore il suo messaggio». (p 128) è proprio così: «quando viene letto cessa di esser l’opera di Sergio Talenti e diviene parte del mondo interiore del lettore». (p 131)

 

Recensione di IO LEGGO DI TUTTO, DAPPERTUTTO E SEMPRE. E TU? di Sylvia Zanotto  

 

UN POST D’OCCIDENTE Sergio Talenti

 

 

 

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