THÉRÊSE E ISABELLE Violette Leduc

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THÉRÊSE E ISABELLE, di Violette Leduc

“Because the night belongs to lovers” è il titolo dell’introduzione che usa Sandra Petrignani cercando di presentarci nel miglio dei modi possibili questo racconto di puro erotismo femminile. Tutti conosciamo questa canzone di Patty Smith, è un invito all’amore libero, al sesso senza pregiudizi, quel modo di affrontare la vita alla peace & love degli anni settanta.

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Con Violette Leduc ci avventuriamo in un altro mondo, un po’ meno conosciuto che ha come protagonisti les enfants terribles del secolo scorso. Simone De Beauvoir, Jean Genet, Maurice Sachs. Solo per citarne alcuni. Con la prima Violette Leduc ha un rapporto molto intenso illustrato dal carteggio che è stato messo all’asta di recente e ha raggiunto una cifra esorbitante, se non sbaglio ottantamila euro. Leduc era innamorata persa di Beauvoir. Invece Simone amava il genio di Violette ma non era affatto attratta da lei. Come tutti la considerava una “bruttona” il cui talento andava controllato. L’audacia che pur piaceva alla grande femminista francese andava domata per poter raggiungere un più gran numero di lettori. Lettori ai quali piaceva leggere Jean Genet, che sapeva sorprendere il suo pubblico avventurandosi in terreni impervi, scabrosi, poco frequentati da chi seguiva il pensiero dominante. Leduc fa altrettanto scandagliando il suo piacere e dando le parole al suo desiderio.

Sarà chiamata “Genet in gonnella”. Non senza una punta di disagio da parte della critica non preparata a leggere il vero erotismo femminile. Maurice Sachs, compagno e amico gay che la incoraggia a scrivere e la introduce al mercato nero, fonte di sussistenza per entrambi durante la seconda guerra mondiale, è un altro tassello del mosaico Leduc. Leduc ha forte attrazione per uomini omosessuali, come Sachs, più tardi Guerin.

Oggi è normale. Un secolo fa forse era un po’ meno normale, anche se fra artisti, era diffuso vivere liberamente il sesso e sperimentare nuove forme amorose. Ma con Violette c’è una stonatura, una frattura profonda fra il suo aspetto fisico e la sua opera: era una cavallona dal fisico di femme fatale, con gambe lunghissime e mozzafiato ma dal nasone inguardabile. Rivestita dagli stilisti più in voga, appariva comunque audace e impertinente e il suo fuoco dentro disturbava la quiete pubblica. Non erano pronti, nemmeno sul versante femminista a dar ascolto alla sua possente voce. Nata da una ferita. La madre. Il padre. Figlia illegittima di un padre che non volle riconoscerla, fu per la madre motivo di imbarazzo e mancato amore durante tutta l’infanzia e l’adolescenza. Si vergognava a tal punto di lei, da non prenderla mai per mano, ma piuttosto per un lembo del cappotto. Come un oggetto scomodo possibilmente da non esibire. La rabbia e la certezza di essere brutta sono gli ingredienti primi della sua scrittura che si mostra scomoda, spiazzante, passionale, cruda e profondamente diversa.

La diversità non è di facile dominio nemmeno per le donne perché è l’espressione del piacere e del desiderio che nessuna ha avuto il coraggio di nominare. Di arricchire con parole. Di esteriorizzare. Di condividere. Leduc, condivide. Condivide il suo mondo erotico, le sue pulsazioni e lo fa con lo stesso impeto con il quale si manifestano. Qualcuno ha parlato di anatomia del sentimento. Un sesso violento che rompe tutti gli schemi e si manifesta con la poesia e la capacità evocativa che solo la grande scrittura è in grado di contenere: «Lei dorme senza piumino. Avrà freddo. Non è quindi una pietra su un basamento. Mi avvicino. Le prendo il profumo di giacinto dalla bocca di dormiente, la sollevo, la stringo a me fino a quella felicità che fa ridere. Rido. Isabelle si sveglia sulle mie labbra. Che Natale…Ho aspettato tanto quel levarsi di palpebre, ho desiderato tanto di nascere nei suoi occhi.» (p. 31) E ancora: «Isabelle mi fece capire che non ci guardavamo con abbastanza intensità. L’amore non ammette riposo.» (p. 39) Davvero chi legge s’inerpica per sentieri sconosciuti e apprezza le qualità particolari della scrittrice. Un modo unico e straordinario per parlare delle cose di sesso. Erotismo, forza, crudezza caratterizzano la natura di questo amore violento nato in un dormitorio di un collegio fra due ragazze agli albori della loro vita.

Una ricerca del sé che passa attraverso un primo approccio al mondo là fuori dove le nostre pulsioni ci scaraventano senza che nessuno ci abbia mai preparati. Siamo lontani dal modo controllato e domestico con cui Simone De Beauvoir scandaglia altri aspetti della stessa medaglia in “Le inseparabili” di cui ho parlato qualche settimane fa. Un’ottica che la infastidiva al punto di cercare di smussarne gli angoli. In “Thérèse e Isabelle” riedito finalmente nella sua edizione integrale, non tagliata né modificata da nessuno, possiamo adesso apprezzarne l’intensità. Una visione che si oppone con forza a quella pornografica maschile, offrendo uno sguardo femminista, unico e riconducibile solo a Violette Leduc. Una donna affasciante, ma considerata brutta, che aveva tanti amici, un rapporto intenso con la natura; ma questi rapporti non la soddisfacevano, li viveva con astio.

Autrice moderna, con un disagio personale, un egocentrismo doloroso che forse può avvicinarsi al pensiero contemporaneo, ora tremendamente modificato dai tempi e dolori della pandemia. Il disagio del Covid ha delle similitudini con il disagio Leduc. Brutta, ma femme fatale, non si ferma davanti al desiderio. Se s’innamora deve conquistare. La potenza della seduzione è il segreto della potenza della sua scrittura. Del fuoco che le brucia dentro e che vi assicuro sa far divampare in noi, quando la leggiamo. Ma che spesso per Violette è sinonimo di dolore, rabbia e solitudine.

Un disagio quello di Violette che lei stessa sintetizza con queste parole: “volevo essere una statua, invece ero una lumaca.”

Recensione di IO LEGGO DI TUTTO, DAPPERTUTTO E SEMPRE. E TU? di Sylvia Zanotto

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