PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 1949: William Faulkner

PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 1949: William Faulkner – “per il suo contributo forte e artisticamente unico al romanzo americano contemporaneo”

MENTRE MORIVO, di William Faulkner (Adelphi)

 

mentre morivo

Eh sì, lo confesso: non avevo mai letto nulla di Faulkner, premio Nobel per la Letteratura nel 1949. Lo trovavo spesso citato come modello di scrittura di tanti autori, anche italiani, ed ultimamente sono stata attratta da questo romanzo datato 1930. E finalmente l’ho letto…che dire?! Folgorata!

La trama è apparentemente semplice: siamo in un’immaginaria regione del Mississippi, dal nome impronunciabile, dove inizialmente assistiamo alle ultime ore di vita di mamma Addie, presenti i suoi, una famiglia di miseri contadini, i Bundren. Morta Addie, il marito Anse e i cinque figli (Cash, Darl, Jewel, Dewey Dell e Vardaman) caricano la bara su un carro traballante e partono per la lontana Jefferson, dove la donna era nata e dove desiderava essere sepolta.

Questo viaggio diviene il corpo centrale della storia, strutturata in modo tutt’altro che semplice.

Intanto va detto che è proprio lo sviluppo della narrazione che trasforma la vicenda rendendola epica e drammatica, aggiungendo sfumature grottesche, comiche, tragiche, simboliche. E non mancano inondazioni, incendi, disastri vari: forze della natura, colpi del destino, difetti e pecche umane.

È l’America del profondo Sud, ben diversa da quella del Grande Gatsby ( 1925) o di Tenera è la notte ( 1934); in quei romanzi, non lontani come data, si coglie la sensazione del crollo dei miti e la solitudine dei protagonisti. In Mentre morivo sia l’ambiente economico culturale sia i personaggi ci mostrano un’esistenza da sempre dolente e primitiva, un mondo rurale che sembra lontano nello spazio e nel tempo. Un mondo a cui, in seguito , guarderanno con rispetto Steinbeck ed altri ancora dopo di lui.

Ma ciò non basta certamente per evidenziare la caratteristica principale e, direi, affascinante della scrittura. C’è ben altro!

Intanto la struttura: questa è data da 59 capitoli / monologhi di 15 voci narranti ( i 7 componenti la famiglia, compresa la morta, ed alcuni vicini e altri personaggi). Ogni personaggio, che dà il nome al capitolo, esprime il proprio punto di vista , osserva gli altri, ne riporta le parole : il tutto con il proprio linguaggio che, il più delle volte, ha l’aspetto di un parlato diretto, di un flusso di coscienza, di pensieri confusi e rozzi nella sintassi, dell’ emotività e del carattere di ciascuno. Questo stile è definibile come polifonico, di una coralità particolare però, un po’ dissonante, in cui ogni personaggio ( indipendentemente dal numero delle volte in cui interviene) acquisisce carattere e peso nella narrazione, definisce se stesso e gli altri.

Oltre le “voci” poi , hanno importanza gli sguardi, intendendo proprio il modo di guardare: chi altero, chi orgoglioso, chi paziente….

E vediamoli, dunque, questi personaggi nel loro insieme e singolarmente.

Sono contadini, poveri, rozzi , legati a riti e formule di vita un po’ primitive, in rapporto stretto con la terra, specchio e simbolo. “Come i nostri fiumi, la nostra terra: opaca, lenta, violenta; che forma e crea la vita dell’uomo nella propria immagine implacabile e pensosa”.

Questo è il principale fattore che li accomuna, potremmo aggiungere anche la soggezione al padre Anse, se non le rivalità reciproche.

Ecco il padre è, nella sua negatività, una figura ben riuscita: vecchio, avaro ed egoista, nasconde dietro una religiosità di facciata un atteggiamento superstizioso; cocciuto più dei suoi muli, riesce sempre ad ottenere da tutti ciò che vuole.

La madre è una donna forte e passionale, adattatasi al ruolo assegnatole dai costumi del tempo; ha amato solo uno dei figli..

(ma non dirò perché.)

Tra questi mi piace soffermarmi solo su

Cash, il più gentile e un po’ ingenuo, ma non tanto da non avere una sua filosofia…

“Sembra che la gente si allontani dal buon vecchio insegnamento che dice di ribadire sempre i chiodi e di rifinire i bordi per bene [….] È come certuni che hanno tante belle tavole lisce per costruirci un municipio mentre altri hanno solo del legname grezzo per costruirci una stia per polli. Ma è meglio costruire una stia fatta a regola d’arte che un municipio sgangherato ” …e già, nel suo lessico, si riconosce che Cash fa il falegname!

Non mi dilungo su gli altri personaggi, che pure ciascuno risulta nella sua individualità e nel suo destino.

Preferisco invece rammentare altri aspetti della scrittura, quelli evidenziati nelle non poche descrizioni ( i dialoghi comunque sono prevalenti), che a mio avviso hanno un forte valore simbolico; la pioggia ad esempio, “L’aria puzza di zolfo. Sul suo piano impalpabile le loro ombre si formano come un muro, quasi che, come il suono, non siano cadute molto lontano ma si siano soltanto congelate, per un momento, vicine e meditabonde. [….] Comincia a piovere. Le prime rade gocce, dure e veloci piombano attraverso il fogliame con un lungo sospiro “.

Pioggia che poi diverrà alluvione: ” Davanti a noi la corrente scorre densa, minacciosa. Ci parla con un mormorio fattosi vario e incessante, la superficie gialla mostruosamente butterata di vortici evanescenti…. quasi che sotto la superficie qualcosa di enorme e di vivo esca per un momento…” [ Sono, non a caso, due visioni di Darl].

Sono pagine bellissime, quelle della piena, nella loro drammaticità: un’epica tragica di poveri diavoli, in lotta con le forze della natura, non sorretti da fedi eccelse piuttosto dall’istinto di sopravvivenza e dalla caparbietà.

Non posso non segnalare, a proposito di descrizioni, gli atteggiamenti e le posture dei corpi degli intervenuti alla veglia funebre, di efficace realismo; o, invece tornando ai simboli, le varie descrizioni degli avvoltoi, che sempre più numerosi accompagneranno il grottesco viaggio, quasi corteo funebre “verso gli Inferi”.

“Era un avvoltoio. Sì è voltato mi ha visto,e si è avviato verso l’entrata, a zampe larghe, le ali strasciconi, voltandosi a guardarmi prima da una parte poi dall’altra, come un vecchio dalla testa rapata”.

Recensione di Maria Guidi

L’URLO E IL FURORE, di William Faulkner  (Einaudi)

L'URLO E IL FURORE William Faulkner recensioni Libri e News Unlibro

Dal Macbeth di William Shakespeare:
“ La vita è un racconto detto da un idiota, pieno di urlo e furore che non significa nulla”.
Il titolo di questo romanzo fu ispirato da questa frase emblematica.
Pubblicato nel 1929 , autore lo statunitense William Faulkner, è un poema sinfonico in quattro tempi, in cui viene raccontata la storia della famiglia Compson, residente al sud degli Stati Uniti, il cui destino è legato alla grande crisi causata dal crollo di Wall Street.
E’ composta da quattro figli : Quentin, Caddy, Jason e Benjy, quest’ultimo viene detto “idiota” a causa di un ritardo mentale da cui è affetto.
Ogni capitolo rappresenta una giornata, e la voce narrante e’ sempre diversa.
Inizia con il 7 aprile 1928, a dar voce al racconto è Benjy , è un alternarsi di presente e passato, ogni suo ricordo è legato ad un odore o ad un suono. Rivela l’importanza del suo legame con la sorella Caddy, con Dilsey la governante di colore e con Luster, nipote di quest’ultima.

Prosegue con il 2 giugno 1910 , la voce è quella di Quentin , studia ad Harvard. Ha un’ossessione per la sorella Caddy, quasi incestuosa. Odia l’odore di caprifoglio.
Il 6 aprile del 1928 a raccontare è Jason , freddo e calcolatore, da lui dipenderanno le sorti della famiglia.
Ed infine l’8 aprile 1928 la voce è di Dilsey la governante di colore da sempre presente nella vita dei Compson, anche se vittima di pregiudizi e discriminazioni razziali.
Un racconto particolare, strutturato in modo particolare, una vera e propria esperienza di lettura, interessante ed intrigante.
E’ come un fiume in piena, senza (apparentemente) un filo logico nella formulazione dei pensieri.
Presente e passato si mescolano, distinti solo dal diverso modo di scrittura, quella di uso corrente per il primo, il corsivo per il secondo.
E’ il cosiddetto “flusso di coscienza”.

Mi sono piaciuti moltissimo Benjy e Dilsey , che secondo me sono l’anima di questo libro.
Benjy l’idiota trascurato dalla sua mamma, Dilsey la madre nera che dona amore a quest’ultimo, tranquillizzandolo e facendo scemare il suo continuo lamento.
“ Benjy e Dilsey sono coloro che continuano ad abitare la casa della narrazione dopo che abbiamo finito di leggere il libro e l’abbiamo chiuso”.
Così scrive Tadini nell’introduzione ed io condivido in pieno.
Introduzione che ho letto alla fine perché come sempre ci sono spoiler che rovinano la lettura, invece l’appendice, posta alla fine nell’ edizione Einaudi (la mia), sembra che l’autore volesse metterla all’inizio e sarebbe stato meglio, perché presenta i vari componenti della famiglia. Anche qui da leggere poche righe di ognuno, per non trovarsi di fronte a rivelazioni prima di affrontare la lettura.

Recensione di Giusy Luvarà

PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA 1920: Knut Hamsun

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