ORFANI BIANCHI Antonio Manzini 

ORFANI BIANCHI Antonio Manzini 

ORFANI BIANCHI, di Antonio Manzini

Orfani bianchi è un libro terribile, che tocca nel profondo e lacera. Se poi hai a che fare quotidianamente con badanti e genitori anziani, allora tutto si complica.

 

ORFANI BIANCHI Antonio Manzini 
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E’ la storia di Mirta, una giovane mamma che, per mantenere il figlio e l’anziana madre, lascia la Moldavia per venire a Roma a fare la badante. All’inizio del romanzo la troviamo ad assistere una signora (che i due figli non hanno remora di ricoverare in una casa di riposo per vendere la sua casa e dividersi il ricavato) poi a fare le pulizie, lavorando come una schiava, dividendo (letteralmente) il letto con un’altra immigrata, in una casa piccola e angusta. Se riesce a sopportare la durezza della sua vita è perché vuole garantire un futuro al figlio e sostenere la madre, con cui è in contatto grazie alle mail che scambia col prete del villaggio.

E’ da lui che avrà la terribile notizia dell’incidente nel quale la madre ha perso la vita. Rientrata precipitosamente in patria per il funerale, si trova davanti il figlio che, come prima alle sue mail, non le risponde quando gli parla e rimane isolato nel suo mondo di videogiochi.

 

Mirta non ha più nessuno a cui lasciarlo-né può portarselo in Italia-ed è costretta a rinchiuderlo in un orfanotrofio, anche se lui una madre ce l’ha. Questa struttura, che sembra un lager, raccoglie tanti altri bambini e ragazzi, orfani e “orfani bianchi”, cioè figli di donne che lavorano all’estero e lì Mirta, con la morte nel cuore, lo lascia per rientrare in Italia. Qui, in maniera fortunosa e grazie all’aiuto di un amico, riesce a trovare una sistemazione interessantissima dal punto di vista economico, ma estremamente difficile: dovrà fare da badante ad una vecchia signora, immobilizzata ma lucidissima, che non le risparmierà niente.

Sarà il drammatico incontro di due dolori: l’anziana che desidera solo la morte e la giovane a cui solo il pensiero del figlio, che spera di portare presto con sé, dà la forza di resistere. Finalmente Mirta è serena, ha nuove prospettive, un nuovo amore, tante speranze, ma la tragedia è dietro l’angolo.

E’ un libro che non lascia indifferenti. A prescindere dallo stereotipo di alcuni personaggi, emerge l’amore della madre, il dolore dell’abbandono subito dal figlio, la drammatica condizione degli anziani che, se persi nella “terra di mezzo”, vengono spesso ignorati e abbandonati dai figli, se lucidi, vivono il dramma di una condizione umiliante di debolezza e di dipendenza.

 

La figura del figlio, muta per tutto il romanzo, diventa paradigmatica della solitudine, del dolore che non riesce ad esprimersi. E se Mirta ha un momento in cui intravede la luce, grazie all’amore, il ragazzo non conosce la speranza.

Buona riflessione per chi guarda con superficialità e distacco la folla di badanti che il giovedì pomeriggio e la domenica affollano i giardinetti e le piazze, terribile giudizio per i figli, talvolta troppo presi dalla propria vita da non trovare il tempo da dedicare a chi la vita gliel’ha donata.

Recensione di Liria Cannata

 

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