MERY. Principessa albina. Racconto di un sogno africano, di Cheikh Tidiane Gaye (Kanaga Edizioni – 2018)
Un manifesto femminista non avrebbe la poesia del racconto orale che s’innalza oltre i popoli e le loro terre per gridare all’umanità tutta, gialla, rossa, nera, ah scusate, anche bianca, che l’amore è l’unica via. L’essere vivente qui cantato è donna e uomo, animale e rettile. Il canto della vita è sconfinato. Entra in te ed esce arricchito da te per tornare da me con il tuo dono.
“Mery” è un sogno. Un racconto orale. Un viaggio nelle terre e tradizioni africane. È anche un viaggio nel futuro. Un ponte. Fra occidente e continente africano. Fra passato, presente e futuro. Fantascienza? Sì, “Mery” è anche fantascienza. In un’intervista, reperibile sul suo sito (http://www.cheikhtidianegaye.com/video/), Cheikh Tidiane Gaye sottolinea l’importanza di coniugare modernità e tradizioni, ruotando intorno alla centralità dell’essere, scavando passato, presente e futuro. Solo riconoscendo le nostre radici, è possibile indagare il nostro io, per poi seguirlo nelle sue integrazioni e contaminazioni nel corso del tempo con il resto del mondo. Questo fa una fantascienza consapevole e autentica, secondo l’autore. «Svegliando Senghor», continua, (a cui è dedicato il libro), «parliamo di simbiosi delle culture».
Cercare il nostro io profondo significa calpestare il proprio suolo nativo, sentirne i profumi e il vento, vederne i colori e trattenerne la vividezza. Come fa Gaye in questo splendido racconto per tentare la sua simbiosi di uomo moderno contemporaneo, scrittore e poeta che si muove fra due mondi amandoli entrambi alla stessa maniera.
Léopold Sédar Senghor, ci dice sempre nella dedica Gaye, è stato «l’ex-presidente della nazione senegalese, emerito Accademico e fondatore del movimento della Negritudine». «Che la terra di Bel-Air gli sia leggera!» gli augura così come al nonno «la terra di Diacksaw!» Perché leggera? Quali episodi lordano queste terre? E quali invece le lodano? Fra i dedicatari, Gaye aggiunge, oltre ai proprio cari e chi lo ha sostenuto in questo percorso, «tutti i bambini del mondo che soffrono…»
La sofferenza certo c’è stata, se per questo c’è ancora, ma l’uomo non deve adoprarsi a generare nuova sofferenza, questo gesto è solo portatore di odio e di violenza. Chiude e non apre. Invece Gaye canta il suo sogno proprio perché vuole seguire i suoi maestri di vita (il nonno) e di scrittura (Sénghor) e aprire nuovi orizzonti. Così facendo, nota Alioune Badara Beye, nella prefazione: «questo poetico racconto costituisce una rottura, anche se discreta con il romanzo africano tradizionale, fatto di narrazioni sublimi, ma talvolta troppo statiche rispetto alle fluttuazioni sociali e politiche del continente.» (p 7)
Eh già, Gaye rompe gli schemi, segue la strada tracciata da quelli che considera i suoi maestri, accanto a Sénghor, c’è Césaire, ma tanti altri. Gaye ha scelto di vivere in Italia perché profondamente innamorato di Dante, Leopardi, Ungaretti. Gaye si avventura nella sua “fantascienza” che si colora di meticciato italo-senegalese, contaminazioni queste inevitabili e ricche di spunti e nuovi modelli di pensiero, comportamento e gusto. Dell’Africa scopriamo quello che ha da offrire! Cultura, stili di vita e valori dimenticati sia da un occidente spesso troppo assorto da sé stesso, dai propri interessi, dal profitto, sia dagli stessi africani feriti e accecati dal sangue versato e le ingiustizie subite.
Il sogno ci trasporta in una capanna, dove alcuni giovani sono istruiti dal saggio del villaggio. L’iniziazione comporta l’allontanamento dai propri cari, indispensabile per affrontare la nuova vita da adulti responsabili. Gli insegnamenti nascono dal desiderio di comunicare amore e praticare il bene. La bellissima leggenda della principessa albina costruisce un mito per sconfiggere l’odio e la violenza. I registri della narrazione variano e incantano il lettore. Lirismo e poesia si mescolano alle parole semplici e quotidiane dei personaggi. Colpisce la trasmissione del sapere: esclusivamente orale. Mai una parola scritta. Le parole passano di bocca in bocca, dal griot, ai personaggi, persino agli animali. Ecco il boa che parla a Mery: «Io sono il vento, sono il fuoco. Sono l’acqua, ma sono anche il vecchio perché detengo la saggezza di questa terra. […] Ho fatto di tuo padre il cieco del territorio perché il cieco è l’essere più innocente. […] Ho fatto di tua madre una lebbrosa perché la bellezza è effimera e ingrata.» (p 22)
I valori contemplati sono valori universali: umiltà, perdono, coraggio rispetto, uguaglianza, modestia. Perché «solo i bastardi si sentono superiori» (p 55). Innalzarsi significa altro e Mery lo sa: «Volare! Partire per un nuovo mondo, in un cielo di pace che tesseremo con le nostre mani. […] io sarò me stessa.» (p 33)
Come sostiene Loredana De Vita, scrittrice e traduttrice napoletana: «l’uomo universale di cui parla l’autore ricorda l’uomo planetario di Ernesto Balducci, l’unico che possa restituire a ogni popolo il rispetto della propria identità in una convivenza pacifica poiché la terra dell’ospitalità è fatta da diversità e accoglienza reciproca.»
Recensione di IO LEGGO DI TUTTO, DAPPERTUTTO E SEMPRE. E TU? di Sylvia Zanotto
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