L’ASILO DI AMSTERDAM Elle Van Rijn

L’ASILO DI AMSTERDAM, di Elle Van Rijn (Guanda – novembre 2021)

Sulla scia delle letture a tema, che sto svolgendo, ho voluto continuare il mio percorso intenzionale sulla Shoah, ma limitato, più che altro, alla fascia di età che va dalla prima infanzia alla prima adolescenza.

La vicenda narrata ne L’ASILO DI AMSTERDAM, di Elle Van Rijn, è una storia rigorosamente vera e documentata da molte foto, documenti e registri vari, che l’autrice ha raccolto per ricavare, alla fine, in un resoconto romanzato, tutta l’agghiacciante persecuzione di cui furono oggetto gli Ebrei – in questo caso olandesi -, durante il nazismo. Infatti, ciò che è riportato risale al biennio 1942-43, quando l’Olanda era stata occupata e ad Amsterdam erano convogliati tutti gli Ebrei presenti nello stato. Infatti, anche sulla protagonista si ripercuotono le stesse conseguenze, con la differenza che lei e le sue colleghe vengono “graziate” solo temporaneamente dalla deportazione immediata di chi li precedeva, cioè la gente non “utile”, da mandare nei campi di lavoro, se non direttamente ad Auschwitz.

Un anno prima della naturale conclusione del percorso di studi, che le avrebbe rilasciato il diploma da maestra d’asilo, Elisabeth Oudkerk, detta Betty, si ritrova in possesso del titolo di studio a soli 17 anni ed è così costretta a lasciare la scuola professionale per iniziare a svolgere la professione, che ha sempre sognato di svolgere, ma in ben altre circostanze.

 

 

 

 

La direttrice dell’asilo, dove Betty viene inviata, Henriëtte Pimentel, è una donna dal pugno di ferro, che ha però dentro una grande sensibilità e umanità, che la portano ad agire a favore dei bambini ebrei più piccoli, occultandoli, ma salvandoli dai campi di concentramento, se non dalle inevitabili camere a gas. Per oltre 600 bambini la sorte, grazie a questo stratagemma, fu un’altra poiché furono nascosti da famiglie che collaborarono alla causa contro una massa di assassini convinti che la razza ariana fosse superiore: i nazisti.

L’asilo presso cui Betty lavorava, ai tedeschi serviva come punto di appoggio per diminuire l’affollamento del teatro Hollandsche Schouwburg, presso cui confluivano tutti gli Ebrei in attesa di esser deportati, indistintamente dal fatto se fossero adulto o bambini. Perciò la struttura che, in origine, ospitava un normale e rinomato asilo, venne trasformato in un centro di accoglienza temporaneo per i bambini ebrei e i trovatelli di cui non si sapeva né origine né provenienza, anche se la fine che li attende è la stessa per tutti, compresa Betty…

 

 

 

LA GENESI

Questa famosa vicenda incuriosì l’autrice, Elle Van Rijn, perché, in occasione della morte del professor Johan Van Hulst, collaborazionista della resistenza, il quale, nel romanzo, fa anche qualche comparsa, sentì parlare per la prima volta dell’asilo ebraico e di Henriëtte Pimentel. Pur conoscendo già sommariamente la storia, della direttrice non era al corrente di nulla, fino a quando un amico regista, Pollo de Pimentel, non ha risvegliato in lei la curiosità per questa prozia, sorella di uno dei suoi nonni. Da qui è nata una collaborazione per una serie tv o un film, ma la vicenda aveva talmente appassionato l’autrice, che decise di << raccontare la storia in modo completo e partecipe >> (postfazione, p. 337), eleggendo a protagonista proprio Betty Oudkerk, che era ancora in vita e riuscì anche ad incontrare personalmente nel marzo del 2020, due giorni prima del lock-down per il covid.

 

La visita alla casa di riposo, dov’era ospite Betty, la Van Rijn la fece in compagnia di Pollo de Pimentel, discendente di Henriëtte.

Nonostante la memoria non fosse più nitida, Betty Oudkerk aveva conservato ancora il suo famoso senso dell’umorismo e, soprattutto, tanto amore, quello stesso che aveva dato ai bambini prima e dopo la guerra.

 

 

 

 

Dopo aver rimosso tutto dei drammatici eventi a cui aveva dovuto assistere, solo a 80 anni Betty aveva iniziato a parlare, quando, alla festa di uno dei suoi 5 figli, ha conosciuto un uomo che, da neonato, era stato salvato dalle maestre dell’asilo. Il miracolo di quest’incontro l’ha portata a raccontare tutto, dapprima con molta cautela, perché i ricordi da tirar fuori erano troppo dolorosi. È così che si è aggiunta una testimonianza fondamentale su questo orribile periodo storico, vissuto sulla propria pelle dalla Oudkerk, che viene narrato nel romanzo.

CONSIDERAZIONI PERSONALI

Ho letto con molto piacere questo libro, primo perché segue il mio percorso di approfondimento della Shoah in età infantile e poi perché non è mai troppa la lettura su un argomento simile perché, sebbene siano eventi accaduti molti decenni fa, stimolano sempre nuove e costruttive riflessioni, utili alle nuove generazioni, per cui la seconda guerra mondiale e la persecuzione degli Ebrei è solo un fatto storico ormai accaduto tanto tempo fa e nulla più, quando invece, nonostante siano morti quasi tutti i sopravvissuti di quegli anni, non bisogna metterci una pietra su e dimenticare uno dei crimini più indicibili e vergognosi della storia dell’umanità.

 

Recensione di Lena Merlina

 

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