LA ZIA GIULIA E LO SCRIBACCHINO Mario Vargas Llosa

LA ZIA GIULIA E LO SCRIBACCHINO, di Mario Vargas Llosa (Einaudi – marzo 2022)

Cominciamo col dire che Vargas Llosa è un premio Nobel: e qui un minuto di reverenziale silenzio prima di aprire bocca e sputare la propria sentenza, qualunque essa sia; a meno che non siate a vostra volta un Premio Pulitzer o cose simili. Lo Strega non vale perché ultimamente si è svenduto.

Aggiungiamo che se siete scribacchini (come il sottoscritto) o zie (come molti pettegoli che pascolano su queste piattaforme digitali) il vostro giudizio su questo sapido romanzo potrebbe essere inficiato dal sentirvi troppo coinvolti nelle vicende dei personaggi, smarrendo il focus dell’ironia. Se addirittura avete avuto in vita vostra una liason con qualche vostra lontana parente, avvenente trentacinquenne separata mentre voi di anni ne avevate una ventina o poco più (come accade al protagonista di questo romanzo) c’è il caso che, da farsa comica, il testo si trasformi per voi in una specie di manuale di psicopatologia della vita quotidiana. Ma sorvoliamo.

Ho appena spoilerato un po’ la trama, ma è cosa da poco, poiché il fattaccio avviene quasi subito. La cosa interessante (come sempre accade in Vargas Llosa) è lo sviluppo dell’intreccio. E su questo nodo cruciale vuole soffermarsi la mia recensione. Lo scrivo per quelli che vanno sempre di fretta e poi capiscono fischi per fiaschi e se ne escono con commenti imbarazzanti che rivelano uno stadio avanzato di analfabetismo funzionale. Gente come noi e voi, che legge decine di romanzi all’anno, ma che fa fatica a comprendere appieno una lista della spesa (“.. perché i broccoli vengono prima delle salviette monouso? Vuoi intendere con questo che vi sia una superiorità dei prodotti orticoli su quelli parafarmaceutici?”.. e via di questo penoso tenore).

Dicevo, scusate la divagazione, che quello dell’orchestrazione d’ntreccio è senza dubbio un mirabile talento dello scrittore peruviano. A sua stessa detta: più e più volte nelle sue interviste Llosa ha rilasciato dichiarazioni a tal riguardo. Il suo modello sono i grandi romanzieri tardo ottocenteschi, dagli intrecci rocamboleschi. Vargas Llosa pianifica le sue opere a tavolino, come un giallista, carta e matita e diagrammi d’azione, e soltanto quando il quadro completo del plot è sotto al suo sguardo allora inizia a scrivere veramente.

Il risultato è una scrittura sempre molto controllata nei suoi risvolti scenici: aspetto senza dubbio gustoso per il lettore, che infila un capitolo dopo l’altro sempre con la curiosità per il seguito degli eventi. Ma a questo tratto puramente costruttivo si affiancano due altri pregi del Vargas che gli hanno valso la fama internazionale: una ironia sempre presente (anche se garbata, quasi british se non fosse che si sente il marchio culturale sudamericano) e uno stile rotondo e flessuoso, sempre molto musicale ed elegante.

Io ve lo consiglio. E anche mia zia, che adesso sta dormendo qui al mio fianco nella nostra alcova clandestina. Ma sono certo sia d’accordo sulla mia recensione.

Di Marcello Ferrara Corbari

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