
LA NOTTE, di Elie Wiesel (Giuntina)

Recensione 1
“La notte” di Elie Wiesel
“Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata.
Mai dimenticherò quel fumo.
Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto.
Mai dimenticherò quelle fiamme che consumarono per sempre la mia Fede.
Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l’eternità il desiderio di vivere. Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto.
Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai.”
Ho acquistato “La notte” di Elie Wiesel durante la mia visita ad Auschwitz, un luogo che porta con sé un peso storico e umano immenso, e devo confessarvi con amarezza che sono rimasta profondamente colpita dalla potenza di questo libro che si associa a tante, tante, infinite testimonianze. Non si finisce mai di provare orrore, vergogna e una profonda tristezza che trafigge l’anima e il cuore.
Il libro di Wiesel è l’ennesima narrazione acuta e cruda della disumanizzazione e della brutalità che gli esseri umani possono infliggere ai loro simili.
Pubblicato per la prima volta nel 1958, “La notte” è potente e straziante perché l’Olocausto attraversa gli occhi di un giovane di nome Eliezer, alter ego dell’autore.
Il libro, infatti, racconta la storia di Eliezer, un ragazzo ebreo di 15 anni, che vive una vita tranquilla nella sua città natale di Sighet, in Transilvania, fino all’invasione nazista. La narrazione segue il suo viaggio attraverso l’orrore della deportazione, della detenzione nei campi di concentramento di Auschwitz e Buchenwald, e della perdita della sua famiglia.
La descrizione della fame incessante e del freddo penetrante che i prigionieri dei campi di concentramento dovevano sopportare è straziante. La fame non era solo una mancanza di cibo, ma una tortura costante che consumava lentamente il corpo e la mente. Il freddo, invece, era un nemico invisibile che penetrava nelle ossa, rendendo ogni momento una lotta per la sopravvivenza.
Leggendo questo libro, non ho potuto fare a meno di ricordare la mia visita ad Auschwitz.
Vedere con i miei occhi capelli ammassati, mucchi di lenti e scarpe nonché pareti ricoperti di fotografie di volti di prigionieri smunti dagli sguardi spenti riflettenti soltanto la morte, non solo mi hanno profondamente commossa ma mi hanno anche trasmesso un senso di paura e di angoscia.
Sentire il freddo scorticarmi la pelle mi ha fatto capire, anche solo in minima parte, l’orrore che queste persone hanno dovuto affrontare. E se anche non nevicava sentivo i fiocchi bianchi insangunati avvolgermi e il gelo pietrificare le lacrime.
La prosa di Wiesel è essenziale e intensa, capace di trasmettere il dolore e la disperazione dei prigionieri.
Inoltre la perdita della fede e della speranza è un tema ricorrente nel libro, riflettendo il trauma psicologico e spirituale subito dai sopravvissuti.
“Oggi non imploravo più. Non ero più capace di gemere.
Mi sentivo, al contrario, molto forte. Ero io l’accusatore, e l’accusato, Dio. I miei occhi si erano aperti, ed ero solo al mondo, terribilmente solo, senza Dio, senza uomini; senza amore né pietà. Non ero nient’altro che cenere, ma mi sentivo più forte di quell’Onnipotente al quale avevo legato la mia vita così a lungo…
Non accettavo più il silenzio di Dio”
La descrizione della morte del padre di Eliezer è uno dei tanti momenti strazianti del libro, forse il più atroce perché simbolo della perdita di umanità e della distruzione dei legami familiari.
“Non ci furono preghiere sulla sua tomba; nessuna candela accesa in sua memoria. La sua ultima parola era stata il mio nome. Un appello, e io non avevo risposto”
Per quanto sopra, “La notte” non è solo da considerare una cronaca degli eventi storici, ma anche una profonda riflessione sull’umanità e sulla moralità.
Wiesel esplora il silenzio e l’azione di fronte all’ingiustizia, invitando il lettore a non dimenticare mai le atrocità del passato e a lottare contro l’indifferenza.
In conclusione, “La notte” è un’opera fondamentale per comprendere la portata della tragedia dell’Olocausto e il valore della testimonianza. La sua lettura è un’esperienza dolorosa ma necessaria, che ci ricorda l’importanza della memoria e della giustizia
Recensione di Patrizia Zara
Recensione 2
Sono quarant’anni che mi concedo letture di diari e testimonianze dei sopravvissuti allo sterminio nazista e ogni volta penso di essermi immunizzata dallo sconforto che mi suscitano le descrizioni delle barbarie che dovettero subire, pensando che oramai nulla di nuovo possa essere detto o descritto che possa ancora impressionarmi. E invece ogni volta mi devo ricredere e il cuore sussulta più forte.
Questa volta è il giovane Eliezier, un ragazzino quattordicenne, a raccontare la sua lunga vita che da normale si trasforma in un’unica notte infernale, una notte durata quasi un anno.
Nella primavera del 1943, dopo le festività di Pasqua, il ragazzino e la sua famiglia vengono fatti montare su un convoglio di carri bestiame (ottanta per carro) e dopo circa una settimana di viaggio interminabile e di continue perquisizioni, giungono a Auschwitz Birkenau, esausti.
Arrivati al campo vengono divisi in uomini e donne. Qui Eliezer vede per l’ultima volta la madre e le tre sorelle. Un solo pensiero ha in mente, da ora fino alla fine della guerra: non perdere suo padre. Ma non ci riuscirà.
Riescono tra atrocità e punizioni ad arrivare a vedere quasi la fine dell’inferno, partecipano alla marcia della morte insieme, ma a poche ore dalla liberazione, nel campo di Buchenwald suo padre Shlomo muore. Al mattino il suo posto è già occupato da un altro detenuto. A quel punto Eliezier, che nel corso di quell’esperienza è dovuto diventare lui il padre di suo padre nell’ incoraggiarlo ad andar avanti, nell’ infondergli speranza, nel risvegliarlo quando si addormentava nella neve, prova quasi sollievo. E non ne prova vergogna perché Auschwitz è anche quello: soppressione di ogni sentimento di compassione in nome della sopravvivenza.
Un racconto forte, preciso, puntuale. Una storia simile a tante altre ma mai uguale a nessuna.
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