LA MISURA EROICA Andrea Marcolongo

La misura eroica Andrea Marcolongo

LA MISURA EROICA, di Andrea Marcolongo

Tosta la Marcolongo. Ha “svilito” il mito degli Argonauti creando una storia a sua misura, ne ha tratto l’essenza forgiandola a sua immagine, e l’ha riversata nell’oceano dei lettori.

La misura eroica Andrea Marcolongo

La Marcolongo scrive bene senz’ombra di dubbio, da persona colta amante delle lingue e dei viaggi e in tali passioni aggiunge il suo percorso personale.

Non è brutto il romanzo, anzi. Ma, a volte, sembra eccedere, esageratamente, nel suo personale percorso: troppe metafore, spesso, contraddittorie.

Il viaggio di Giasone, giovane inesperto, viene travolto dall’onda interiore della scrittrice che nei suoi viaggi ne ha ricavato, nel doloroso nostalgico itinerario, la forza di combattere le onde.

E se nel mito Giasone viene aiutato dalla magia e dagli dei, nel tragitto dell’esistenza di ognuno di noi dobbiamo cercare, dentro l’involucro fisico, quella magia che si chiama “forza e/o determinazione ” per andare sempre avanti, afferrare il “vello d’oro” e ritornare indietro percorrendo un itinerario sconosciuto poiché lungo l’andata non abbiamo lasciato volutamente “briciole” e non abbiamo il “filo di Arianna”.

Ognuno di noi ha la sua Argo e il suo vello d’oro, ognuno di noi non può più tornare indietro, ma dal passato può ricavare la tenacia per percorrere la rotta davanti a sé e ritornare, circumnavigando l’esistenza, al suo porto di origine in una veste nuova.

La Marcolongo con la risolutezza del suo vissuto ci parla della forza dell’Amore identificandolo in ogni suo aspetto in Medea: non si può fare il viaggio lungo l’esistenza, nel passato, nel presente e in futuro anteriore, da soli!

Giasone e Medea, insieme, conquistano la maturità e da imberbi diventano adulti, forti, potenti, indistruttibili perché hanno raggiunto la “misura eroica”, che, al di là del fallimento e della vittoria -termini che si annullano – altro non è che la capacità di andare avanti facendone di ogni meta raggiunta un inizio.

E si parla di libertà, di nostalgia, di malinconia, di gioie e dolori, di solitudine e moltitudine nelle forme che sappiamo e che vogliamo sentire.

Nel coraggio di rischiare, il mito greco, aiuta il lettore ad andare oltre la lettura, creando quel pàthos senza il quale parrebbe di leggere un trattato di sopravvivenza per incapaci di osare e di pretendere o di naufraghi che troppo hanno ardito.

Consiglio a chi volesse informarsi o approcciarsi per la prima volta alle Argonautiche, di leggere direttamente il testo di Apollonio Rodio e ricavarne la propria “essenza”.

“I greci ci insegnano che la preposizione da usare per prendersi cura di chi si ama non è affatto “con”, complemento di compagnia. Si può essere isolati o in mezzo a molti, ma non c’è nulla al mondo di più doloroso e di più crudele del sentirsi soli insieme a qualcun altro.

Stare accanto a chi soffre non è questione di geografia, presenza o assenza fisica, vicinanza o lontananza, ma comune sentire. In greco antico si diceva “empàtheia”.
Empatia, da en, “dentro” e (pàthos) “sofferenza”.
La preposizione dell’amore è “in” complemento di stato in luogo, presenza non fisica, ma sentimentale.
Essere nello stesso dolore, come nella stessa felicità.

 

 

Comodo, troppo comodo, abbracciare qualcuno che piange di una sofferenza che ignoriamo e, rallegrandoci in segreto proprio per il fatto di ignorarla, dire per fortuna non è successo a me…
Arduo, perché fa male, è invece accompagnare qualcuno nel suo percorso dentro il dolore, trasformandoci da spettatori a compagni di viaggio in un tormento che non ci appartiene, ma che con la fantasia rendiamo nostro, pensando “soffro come se fosse successo a me”. A questo serve la fantasia, in senso greco: non a progettare il futuro, ma scegliere di essere parte del presente altrui”

Recensione di Patrizia Zara

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