INDIZI MORTALI Robert Bryndza

INDIZI MORTALI, di Robert Bryndza (Newton Compton – aprile 2023)

Partirei da un quesito: come è possibile che “Deadly secrets”, che è il titolo originale, sia diventato “indizi mortali”? Perché mortali sono mortali, ma tra “segreti” e “indizi” c’è parecchia differenza… probabilmente la risposta appartiene a quei segreti che Newton-Un-Grande-Thriller-Compton non ci svelerà mai…

Comunque, venendo a noi. Robert Brynza con questo libro ci porta nel sesto episodio della saga dedicata alla detective Erika Frost. Attingendo sempre più a piene mani nei cliché dei poliziotti problematici, l’autore ci porta a spasso per 300 e poco più pagine di libro, narrate con uno stile di scrittura veloce e scorrevole, tanto che in una giornata si legge agevolmente.

La storia è interessante e ci fa capire fin da subito che quello che sembra non è quello che è, e man mano che si va avanti vengono aggiunti dettagli per far giungere il lettore a conclusioni tanto facili quanto sbagliate. Ma fin qui nulla che moltissimi altri non facciano già, quindi non è un grande problema.

Il problema, anzi I problemI, sono diversi: prima di tutto, come già detto, il cliché della poliziotta con un background difficile, che permea il personaggio dall’inizio della saga, è arrivato qui a un punto tale che francamente, mi perdoneranno i francesi per la cattiva pronuncia, ha rotto il c***o. Deve essersene accorto persino l’autore che, in chiusura, sembrerebbe aver risolto la cosa.

Il secondo problema sono i personaggi che, con una evidente personalità dissociata multipla non diagnosticata, alternano lampi di genio a picchi di eccellenza nella stupidità.

Il terzo problema è la retorica che viene infilata in certi discorsi. Quello finale, poi, è fantastico nella sua ipocrisia. Ha però il grande pregio di fare riflettere sull’argomento, anche se nel modo di presentarlo dell’autore appare chiaro che non fosse quello l’intento.

Ma vabbè, la storia è bella e intrigante, non è di quelle che ti incolla alle pagine ma che comunque regge bene, non fosse poi per il finale, il cui colpevole è credibile appena meno di quando era stato dichiarato che Ruby Rubacuori fosse la nipote di Mubarak. Ma è un effetto collaterale di quando si cerca a tutti i costi un colpo di scena spiazzante.

Nella copertina posteriore si legge, tra le altre cose: “I romanzi di Robert Bryndza mi tengono con il fiato sospeso fino alla fine”, a firma di Angela Marsons. Ora, che la Marsons, che scrive dei capolavori, possa essere tenuta col fiato sospeso da un libro del genere, si spiega solo col fatto che essendo in Inghilterra (ma anche da noi) pubblicati entrambi dalla stessa casa editrice, è chiaro che si fanno sponda l’un l’altro per clausola contrattuale.

Per amor di verità, questo non è comunque uno di quei libri che era meglio l’albero. Si fa leggere bene, è interessante e avvincente a sufficienza, è bello allineato al pensiero comune e all’inclusività, non è nemmeno così truculento come gli piacerebbe (ma non osa), e se uno non ha troppe pretese di realismo e non è infastidito dal politicamente corretto va benissimo. Poi ha di buono che, dicevo all’inizio, sono 300 paginette e non è un grosso impegno temporale/emotivo. Ma i thriller sono un’altra cosa.

Recensione di Mitia Bertani

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