I DEMONI DI WAKENHYRST, di Michelle Paver (Neri Pozza)
Il titolo originale è semplicemente “Wakenhyrst”, ma quello italiano ci sta tutto, non è un semplice espediente attira-lettori. Tuttavia la cosa interessante, e al contempo drammatica, è che il demoniaco che pervade in maniera decisamente fosca la storia narrata dalla sessantatreenne autrice, nata in Africa da genitori europei ma naturalizzata britannica, non ha assolutamente nulla di sovrannaturale, tranne nelle menti e nel contesto storico-sociale dei personaggi. L’ambientazione, inventata dalla scrittrice ma sulla base di luoghi da lei realmente conosciuti e studiati, è perfetta per un romanzo gotico moderno. Un’antica e tetra dimora, in una sperduta zona paludosa del Suffolk, nell’Inghilterra orientale, vede al suo interno e nel villaggio vicino le vicende di un ricco proprietario terriero, Edmund Stearne, appassionato di storia locale, unite a quelle della sua tormentatissima figlia Maude, di cui viene ripercorsa l’esistenza dall’adolescenza, intorno alla fine del primo decennio del Novecento, fino agli anni Sessanta.
Tutto ruota su un feroce omicidio, con conseguente follia e poi internamento in manicomio, commesso dal padre nel 1913 e di cui la figlia è praticamente testimone. Ma la vera vittima della pazzia omicida del fino ad allora stimatissimo proprietario della tenuta è proprio Maude, che subisce limitazioni, accuse e, a conti fatti, autentiche vessazioni dal padre e dall’ambiente retrogrado e superstizioso dell’epoca, in cui la donna era tenuta in uno stato di soggezione di poco inferiore a quello di una povera popolana del ‘500 accusata a suo tempo di pratiche diaboliche, sulla quale Edmund indaga con ossessione monomaniacale, associandola a un terrificante dipinto dell’ Apocalisse da lui rinvenuto nel camposanto annesso alla vecchia chiesa di Wakenhyrst. Il tutto, tra l’altro, inventato sì dalla Paver, ma sulla base di documenti terribilmente autentici, di cui ella ci parla con grande precisione nella lunga nota che chiude il volume.
Recensione di Pasquale Vergara
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