GLI INTRAMONTABILI: IL DESERTO DEI TARTARI, di Dino Buzzati
“E dall’amaro pozzo delle cose passate, dei desideri rotti, dalle cattiverie patite, veniva su una forza che mai avrebbe osato sperare”.
La bellezza del romanzo di Dino Buzzati è indescrivibile.
Quel senso della vita, che poi senso per noi comuni mortali non ha, quell’attesa, quella speranza, quei desideri, l’avverarsi dei sogni: tutto racchiuso in quella fortezza “Bastiani” dai muri giallastri dove il tempo si diverte e gioca. E già, il tempo sorridente amico di una giovinezza baldanzosamente ignara del suo potere logorante, quel tempo dalle lunghe onde invisibili, paleserà il vero volto di chi ha stretto un patto indissolubile con la signora morte. I suoi incessanti ritocchi fluidi come nel dipinto “La persistenza della memoria” di Salvador Dalí, riveleranno il beffardo ghigno della vittoria di chi ha avuto, sin dall’inizio, il potere di nutrirsi lentamente e con inganno delle forze umane.
La fortezza Bastiani è la vita con il fascino ammiante delle cose che non hanno un perché. Dall’alto delle sue mura la distesa arida il cui sguardo si perde in memoria di un infinito leopardiano.
“Il deserto dei Tartari”, parabola dell’esistenza, è un piccolo gioiello di struggente incanto e di commoventi sensazioni.
Perché siamo tutti piccolissimi soldati buttati non si sa da chi in questa vasta landa chiamata terra o mondo a lottare contro mulini che presto si riveleranno a vento. Siamo tutti Giovanni Drogo, ognuno in attesa del proprio momento di gloria terrena o di riscatto.
Ma, del resto, arriva o non arriva, ben presto ci rendiamo conto, proprio come il nostro protagonista, che non ci saranno né vinti né vincitori in questa breve corsa.
Che illusione!
E che nelle battaglie, anche quelle oniriche, possiamo vaneggiare soltanto il podio dei vincitori, ma la grande guerra ci troverà sempre impreparati ed è lì in quei momenti che dobbiamo saperla affrontare con le armi deposte in segno di pace consegnando l’anima all’ignoto.
Con Il deserto dei Tartari siamo di fronte a un indubbio capolavoro della narrativa italiana.
La condizione umana, in una grandiosa allegoria, viene descritta con uno stile semplice e geniale tanto da disarmare il lettore e provocare in esso uno strano senso di profonda inquietudine. Ogni parola è come il sasso del deserto. Ogni pezzo di frase è come il picco di una montagna della landa e ogni frase non è altro che una parvenza, il fantasma dove ci cela il tempo che piano piano subdolamente diventa il vero e incontrastato protagonista e porta il lettore a prendere coscienza di quanto poco ci è dato e di quanto quel poco ci ha illuso.
E nella costruzione di questa grande illusione collettiva il gelo penetra, parola dopo parola, sin dentro il cuore, costringendo il lettore a guardare in fondo a se stesso.
P.s. per chi non conosce “il deserto dei tartari” informo che non si tratta di romanzo storico, di guerra o di battaglie nel senso letterale. È un romanzo che appartiene al genere cosiddetto “drammatico”, proprio come l’esistenza nel suo complesso.
Recensione di Patrizia Zara
IL DESERTO DEI TARTARI D. Buzzati
Commenta per primo