GIÙ AL SUD, di Pino Aprile
Mi colpisce la dedica: “Dedicato a chi resta,/perché sceglie di restare. /Dedicato a chi torna,/ perché sceglie di tornare”.
“Giù al Sud” di Pino Aprile è un viaggio socio-antropologico in un’Italia ancora spaccata in due e di un Sud che fa fatica a recuperare i “pezzi di memoria adattandoli al tempo”.
Racconta di un Sud “che non ha voce, o voci piccole e sparse, che non sa di sé e non riesce a far sapere di sé”; di quello che è stato il passato splendido e luminoso di una Terra che tanto ha donato a un intero Paese in cultura e in ricchezze, privato, derubato della sua identità. Al suo posto, rimangono scheletri di incompiuti, vuoti e assenze.
Le storie riportate, le parole restituite a chi voce non ne ha, disegnano un paesaggio narrativo intenso, inaspettato, che fa riflettere. Un punto di vista diverso dal solito sulla questione meridionale.
E, fra queste pagine, una storia agghiacciante, quella del Terremoto del 1908… «Voi non potete giudicare. Voi non avete visto.». Ed è lì che si scopre che ciò di cui si parla non sono trasporti, mezzi, ricchezze di cui il Sud è stata privata, ma uomini, donne, famiglie.
Uno stile asciutto, sincero, che accompagna a un giudizio.
E sull’autore -so bene- c’è chi si schiera; penso che l’unica “colpa” che ha, è quella di raccontare una storia diversa da quella che conosciamo e a cui, in fondo, conviene a tutti credere.
Chiudo il libro, ritorno alla dedica. Ed è tutto lì, in quel verbo ripetuto due volte: “Scegliere”.
In esso è racchiusa la nostra libertà nel decidere in quale storia e a quale voce credere.
Recensione di Erika Polimeni
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