E VENNE CHIAMATA DUE CUORI Marlo Morgan

E VENNE CHIAMATA DUE CUORI, di Marlo Morgan

 

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Recensione 1

Il pianeta piange. L’uomo non vede le sue lacrime.  Riconnettiamoci prima che sia troppo tardi. Con noi stessi. Con l’ombelico del mondo.

Marlo Morgan è una scrittrice statunitense che ha conosciuto il successo con questo libro ormai più di trent’anni fa. Stranamente è un libro che all’epoca mi sfuggì. Ero una giovane mamma e le mie letture non decollavano. Mi addormentavo sempre alla prima frase. Per fortuna sbirciando nelle librerie di amici ecco che compare questo libro e mi lascio incuriosire dal titolo italiano. Con i puntini iniziali che lasciano sempre sognare.

Il libro ha destato molte critiche, ma non stupisce, visto che a leggerlo sono stati oltre venti milioni di persone. È un racconto autobiografico, romanzato e si dice che i dettagli non coincidano sempre con la realtà dei fatti.

Mi chiedo: che cosa cambia se gli aborigeni hanno altre abitudini rispetto a quelle descritte da Marlo Morgan? Per quanto mi riguarda, la storia qui raccontata è una storia che mi costringe ad avere uno sguardo diverso non solo nei confronti di un popolo considerato primitivo, ma anche nei confronti del modo di vivere dell’uomo emancipato e progressista occidentale.

 

 

Negli anni Novanta ancora non si parlava di disastri ambientali e di ecosistemi a rischio. O meglio, i media non ne parlavano. Gli scienziati e gli esperti del settore incominciavano a studiare e divulgare gli effetti dell’inquinamento e di un uso non ponderato delle risorse del pianeta. Ma soltanto da pochi anni l’allerta ha raggiunto un po’ tutti noi, estremamente impreparati a fronteggiare questo tipo di emergenza.

Senza dilungarmi troppo sulle tematiche ambientali, tutti concordiamo nel dire che siamo vicini al punto di non ritorno. Sempre più la terra è sottoposta a lunghi periodi di siccità che si alternano a trombe d’aria e forti piogge, i ghiacciai si stanno sciogliendo, demograficamente siamo in sovrannumero e presto non ci sarà più cibo a sufficienza per tutti gli abitanti della superficie terrestre. Nel frattempo, l’uomo continua a fare le guerre. Di recente, l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin ha suscitato non poche preoccupazioni, ma nessuno è riuscito a fare finire questa guerra, come le tante altre guerre irrisolte, vedi la Siria, vedi la Palestina. Infine, dal 2020 un altro flagello ci ha messo tutti in ginocchio: la pandemia.

 

 

“…E venne chiamata due cuori” è un libro che a modo suo affronta queste tematiche cercando delle risposte altrove, voltando le spalle al pensiero occidentale. Noi, quelli del pensiero occidentale, infatti, tendiamo a lasciarci portare in avanti dal progresso consumistico e in continua ascesa senza mai veramente soppesarne le conseguenze. Ecco che, forse, potrebbe esserci di aiuto un’antica sapienza proveniente da una tribù aborigena. In esergo al libro, ne troviamo i principi fondamentali. Per cominciare, il concetto di essere parte di un tutto: «L’uomo non tesse la fila della ragnatela della vita, di cui è soltanto un filo. / Qualunque cosa fa alla ragnatela, lo fa a se stesso.» (American Chief Seattle) Poi, è il turno di Anziano Cigno Nero Reale, che ci sprona a non aver paura: «L’unica maniera per superare una prova è affrontarla. Questo è inevitabile.» Mentre la profezia degli Indiani Cree ci lascia davvero costernati per quanto vicina alla realtà del terzo millennio: «Solo dopo che l’ultimo albero sarà stato abbattuto. Solo dopo che l’ultimo fiume sarà stato avvelenato. Solo dopo che l’ultimo pesce sarà stato catturato. Soltanto allora scoprirai che il denaro non si mangia.»

Marlo Morgan porta i lettori nel cuore del deserto australiano laddove siamo costretti a spogliarci delle nostre certezze: «Nascere a mani vuote, / morire a mani vuote.» Nel deserto, gli aborigeni custodiscono valori diversi. Qui, per esempio, le vere ricchezze non si concentrano nel verbo avere ma nel verbo essere. La crescita di una persona non si misura con il tempo (i compleanni) né con i suoi possedimenti. Per questo i membri della tribù protagonisti del libro non festeggiano i compleanni. Per loro si festeggia quando si pensa: «di essere divenuti migliori e più saggi. Ma solo il diretto interessato può sapere quando questo accade.» (p 101)

 

 

Un’altra qualità aborigena descritta dalla Morgan riguarda il loro modo di comunicare: «Secondo Oota, il motivo per cui la Vera Gente può utilizzare la telepatia è soprattutto uno: nessuno di loro mente mai; per la tribù non esistono mezze verità o piccole bugie, né tanto meno smaccate falsità» (p 84). Per noi occidentali, connessi con i cavi e ormai anche senza cavi da quando esiste Internet, è davvero impensabile considerare la telepatia come mezzo di comunicazione. Eppure nel deserto è un metodo diffuso e funzionante. Almeno così sembra. Ma anche se così non fosse, una riflessione siamo costretti a farla. Noi, occidentali, siamo talmente carichi di strati sovrastrutturali che siamo ormai incapaci di giungere all’essenza delle cose. Spesso allontanandoci specularmente dal nostro io profondo, incapaci di sguardi genuini e franchi. «I miei compagni mi dimostrarono che è indispensabile essere sincera, accettare e amare me stessa, per poter a mia volta trasmettere agli altri.» (p 85)

Ecco, la giornalista protagonista di questo viaggio nel deserto australiano insieme alla tribù della Vera Gente esce da questa avventura completamente cambiata… con ‘due cuori’ come indicato dal titolo. Non importa se la narratrice e l’autrice abbiano vissuto entrambe quest’avventura. In altre parole se questa sia o non sia una storia vera. Quello che conta è la via indicata, che porta al cuore delle cose, all’essenza della vita, alla ricerca di un rapporto di rispetto fra le persone e per la natura.

 

 

Il futuro è legato al nostro modo di esistere: solo tutti insieme possiamo fare qualcosa per la salvaguardia della terra. Riconoscendo la nostra piccolezza che diventa grandezza se connessa al resto del mondo.

Una favola che fa bene al cuore, e sarebbe davvero auspicabile che i suoi principi potessero in qualche modo uscire dal contesto letterario e influenzare positivamente le nuove politiche ambientali e socio-economiche.

 

Recensione di IO LEGGO DI TUTTO, DAPPERTUTTO E SEMPRE. E TU? di Sylvia Zanotto  

 

 

Recensione 2

(Attenzione, un po’ di spoiler c’è)

Io faccio recensioni serie, mi dico, non devo scrivere parolacce né giudizi irrispettosi, che poi mi buttano fuori dal gruppo. Persino mio figlio quindicenne intima “mamma, non farlo”. Ma questo romanzo l’istinto di citare il celebre giudizio di Fantozzi sulla corazzata Potëmkin me l’ha suscitato parecchio.

Dentro c’è di tutto: telepatia, ossa rotte che guariscono magicamente, acqua e cibo che compaiono nel deserto in seguito alla ricerca spirituale della protagonista, grotte sacre tempestate di opali e soprattutto aborigeni del tutto privi di quella, purtroppo, inevitabile caratteristica umana che è il male. Neppure un peccatuccio veniale, nulla. Nascono buoni e muoiono felici di ricongiungersi col Tutto.

L’autrice cercò di spacciare l’opera per una storia vera, ma pare che gli aborigeni non abbiano gradito e l’abbiano denunciata.

 

È vero, non amo i best seller, ma non do di tutti un giudizio così negativo. Qui ho trovato proprio un atteggiamento da imbonitrice, da maga da quattro soldi, che parla di spiritualità senza approfondire nulla e, mancando di un solido supporto filosofico, ricorre ai miracoli.

Di buono si può solo dire che il libro è scorrevole, si legge in fretta senza particolare fatica. E, volendo, possiamo salvare la pars destruens: l’appello a non distruggere il mondo e l’ambiente è quanto mai attuale!

Recensione di Maria Cristina D’Amato 

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