Abbiamo intervistato lo scrittore fiorentino Gigi Paoli, autore delle Cronache di Gotham

Abbiamo intervistato lo scrittore fiorentino Gigi Paoli, autore delle Cronache di Gotham,

una serie di gialli giudiziari che hanno per protagonista un intraprendente reporter, pubblicati da Giunti e molto apprezzati dai lettori

 

Gigi Paoli

 

Il giallo è un genere letterario che potremmo definire “classico” ma ancora molto amato dai lettori: qual è il segreto di tanta popolarità, secondo lei?

Il giallo è, e resta, il miglior espediente narrativo per raccontare la realtà che ci circonda e per questo funziona: perché parla, o quantomeno dovrebbe parlare, a tutti.

Anche lei nei suoi romanzi parla a tutti?

Ci provo: cerco di raccontare storie ispirate a ciò che caratterizza la nostra attualità, come il terrorismo islamico, le Brigate Rosse, le nuove droghe,  temi che tratto nei miei libri, per raccontare i nostri tempi attraverso il giallo.

L’elemento “giallo” è presente nelle trame di successo non solo dei romanzi, ma anche delle serie televisive più popolari: c’è il rischio di una sovraesposizione o  l’evoluzione del genere garantirà comunque e sempre  il favore del pubblico a questo tipo di storie?

Non credo a una sovraesposizione del giallo, piuttosto alla necessità di un’ancora più marcata divisione fra ciò che è giallo e ciò che non lo è, senza dimenticare la qualità della narrazione;  il lettore medio del giallo non è una persona semplice, anzi, compete con l’autore per arrivare prima alla soluzione del caso che sta leggendo in  una sfida continua e stimolante, quindi mantenendo un livello adeguato di narrazione, il giallo in tv può avere una vita infinita.

 

 

Esistono, secondo lei, uno o più elementi che contraddistinguono la produzione narrativa del genere in ambito italiano al punto da rendere il “giallo italiano” immediatamente distinguibile anche nel panorama internazionale?

“Il giallo italiano” è di difficile collocazione  perché, forse, troppo incastonato nel mondo della tipica provincia italiana: bello, suggestivo, ma lontano per chi è altrove, ed è difficile che il lettore di Parigi o di Londra ci si possa ritrovare e immergere.

 

E i suoi sono gialli “italiani”, o hanno avuto altri modelli?

Ritengo che uno dei complimenti migliori che ho ricevuto è quando una lettrice, alla presentazione del mio ultimo libro, mi disse che i miei libri non sembravano neanche italiani,  perché il mio mondo di riferimento è sempre stato quello anglosassone, antico e moderno.

 

Come è nata l’idea di ambientare i casi del Reporter Carlo Alberto Marchi nello spaziale Palazzo di Giustizia di Firenze? 

 

Perché ritengo sia meglio parlare di ciò che si conosce, per non prendere in giro i lettori, inventando cose delle quali non si sa niente:  di Salgari ce n’è stato uno e io, dunque, ho raccontato  la vita dei giornalisti e dei giornali, la vita di un padre che cresce da solo una figlia adolescente, il rapporto con magistrati e avvocati. La mia vita.

 

 

Romanzi gialli e reti sociali: un legame possibile?

Se è vero, come è vero, che il romanzo giallo è il modo più agevole per raccontare la realtà che ci circonda, perché non raccontare le reti sociali che ci avvolgono e, in qualche caso, rischiamo di stritolarci. Anzi, sono argomenti eccellenti per sviluppare un giallo, no? E’ il linguaggio che cambia, perché nelle reti sociali si usa una lingua essenziale come il giornalismo ma i canali sociali non sono giornalismo, anche se pensano di poterlo sostituire.

 

Quali sono i suoi progetti  per il futuro?

Sicuramente il mio nuovo libro, che uscirà per Giunti il 7 giugno, dal titolo La Voce Del Buio: su questo romanzo imposterò la mia produzione dei prossimi anni, perché è un progetto molto ambizioso, qualcosa di bellissimo che non mi sarei mai aspettato di vivere e che spero sia gradito dai miei affezionati lettori, ai quali, assieme al mio editore  devo tutto quello che sono diventato oggi.

 

 

 

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